Omelia in chiusura della V Assemblea del Sinodo dei Vescovi, n. 7 (25 ottobre 1980)

  1. Perciò il Sinodo, parlando del ministero pastorale verso coloro che sono passati ad una nuova unione dopo il divorzio, loda quei coniugi che, pur angustiati da gravi difficoltà, tuttavia hanno testimoniato nella propria vita l’indissolubilità del matrimonio. Nella loro esistenza si coglie infatti una valida testimonianza di fedeltà verso l’amore che ha in Cristo la sua forza e il suo fondamento.

I padri sinodali inoltre, mentre affermano l’indissolubilità del matrimonio e la prassi della Chiesa di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati che contro la norma si sono uniti in un nuovo matrimonio, esortano i pastori e tutta la comunità cristiana perché aiutino questi fratelli e sorelle a non sentirsi separati dalla Chiesa, non solo, ma in virtù del battesimo essi possono e devono partecipare alla vita della Chiesa pregando, ascoltando la parola, assistendo alla celebrazione eucaristica della comunità e promuovendo la carità e la giustizia.

Quantunque non si debba negare che tali persone possano ricevere, se ne ricorrano le condizioni, il sacramento della penitenza e quindi la comunione eucaristica, quando sinceramente abbracciano una forma di vita, che non contrasti con la indissolubilità del matrimonio – cioè quando l’uomo e la donna, che non possono soddisfare l’obbligo della separazione assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi, e quando non c’è motivo di scandalo – tuttavia la privazione della riconciliazione sacramentale con Dio non li distolga dalla perseveranza nella preghiera, dall’esercizio della penitenza e della carità perché possano conseguire la grazia della conversione e della salvezza.

È bene che la Chiesa pregando per loro e sostenendoli nella fede e nella speranza si dimostri madre misericordiosa.