La seguente catechesi è tratta dal testo “uomo e donna lo creò” (non mi risulta mai pronunciata dal Santo Padre), per completezza la riporto in questa “raccolta” augurandomi di non violare alcun diritto dell’Editore (ho riportato solo il testo attribuito al Santo Padre e non ho riportato le note ritenendole proprietà intellettuale dell’Editore e dei curatori dell’edizione)
- Abbiamo detto in precedenza che il segno sacramentale del matrimonio si costituisce sulla base del «linguaggio del corpo», che l’uomo e la donna esprimono nella verità che gli è propria. Sotto tale aspetto analizziamo attualmente il Libro di Tobia.
Nel fare il confronto tra il Libro di Tobia ed il Cantico dei Cantici oppure i libri dei Profeti, si può giustamente porre la domanda se il testo che stiamo esaminando parli di questo «linguaggio». Tanto il Cantico ci offre tutta la ricchezza del «linguaggio del corpo», riletto con gli occhi e il cuore degli sposi, quanto il Libro di Tobia è, sotto questo aspetto, estremamente parco e sobrio.
Il fatto che Tobia amò Sara «al punto da non saper più distogliere il cuore da lei» (Tb 6, 19), trova la sua espressione soprattutto nella prontezza di dividere con lei la sorte e di rimanere insieme «nella buona e cattiva sorte». Non è l’eros a caratterizzare l’amore di Tobia verso Sarà, ma, dal principio, questo amore viene confermato e convalidato dall’ethos: cioè dalla volontà e dalla scelta dei valori. Criterio di questi valori diviene — alla soglia stessa del matrimonio — quella prova della vita e della morte, che entrambi debbono affrontare già la prima notte. Entrambi: sebbene la vittima del demonio debba essere soltanto Tobia, nondimeno è facile immaginare quale sacrifìcio di cuore avrebbe dovuto subire anche Sara.
- Quella prova di vita e di morte — come ne parla il Libro di Tobia — ha anche un altro significato che ci fa comprendere l’amore e il matrimonio degli sposi novelli. Ecco — unendosi come marito e moglie — essi debbono trovarsi nella situazione in cui si combattono e si misurano reciprocamente le forze del bene e del male. Il duetto degli sposi del Cantico dei Cantici sembra non percepire affatto questa dimensione della realtà. Gli sposi del Cantico vivono e si esprimono in un mondo ideale o «astratto», in cui è come se non esistesse la lotta delle forze oggetti ve tra il bene e il male. Forse è proprio la forza e la verità interiore dell’amore ad attenuare la lotta che si svolge nell’uomo e intorno a lui?
La pienezza di questa verità e di questa forza propria dell’amore sembra tuttavia esser diversa; e sembra tendere piuttosto là dove ci conduce l’esperienza del Libro di Tobia. La verità e la forza dell’amore si manifesta nella sua capacità di porsi tra le forze del bene e del male, che combattono nell’uomo e intorno a lui, perché l’amore è fiducioso nella vittoria del bene ed è pronto a far di tutto affinché il bene vinca.
- Di conseguenza, la verità dell’amore degli sposi del Libro di Tobia non viene confermata dalle parole espresse dal linguaggio del trasporto amoroso, ma dalle scelte e dagli atti che assumono tutto il peso dell’esistenza umana nell’unione di entrambi.
Il segno del matrimonio come sacramento si attua sulla base del «linguaggio del corpo», riletto nella verità dell’amore. Nel Cantico dei Cantici questa è la verità dell’amore assorbita dallo sguardo e dal cuore: verità di esperienza e di affetto amoroso. Nel Libro di Tobia la penosa situazione del «limite», unita alla prova della vita e della morte, fa, in certo senso, tacere il dialogo amoroso degli sposi. Emerge, invece, un’altra dimensione dell’amore: il «linguaggio del corpo», che sembra colloquiare con le parole delle scelte e degli atti, scaturiti da tale dimensione.
La prova della vita e della morte, come pietra di paragone, non appartiene forse anch’essa al «linguaggio del corpo»? Non è il termine «morte», per così dire, l’ultima parola di quel linguaggio, che parla dell’accidentalità dell’essere umano e della corruzione del corpo, parola alla quale debbono richiamarsi Tobia e Sara, all’inizio stesso del loro matrimonio? Quale profondità acquista in questo modo il loro amore, e il «linguaggio del corpo» riletto nella verità di tale amore? Il corpo, infatti, nel segno sacramentale dell’unità coniugale, nella sua mascolinità e femminilità si esprime anche attraverso il mistero della vita e della morte. Si esprime attraverso questo mistero forse in modo più che mai eloquente.
- Da tale ampio, direi «metafisico» sfondo, è opportuno passare a quella dimensione della liturgia, che è propria e definitiva per il segno del matrimonio come sacramento.
La dimensione della liturgia assume in sé il «linguaggio del corpo», riletto nella verità dei cuori umani — cosi come lo conosciamo dal Cantico dei Cantici. Al tempo stesso però cerca di inquadrare questo «linguaggio» nella verità integrale dell’uomo, riletta nella parola del Dio vivo. Lo esprime la preghiera degli sposi novelli del Libro di Tobia, che abbiamo citato all’inizio.
Nel Libro di Tobia non c’è né il dialogo né il duetto degli sposi. Nella notte nuziale essi decidono soprattutto di parlare all’unisono — e questo unisono è appunto la preghiera. In quell’unisono che è la preghiera l’uomo e la donna sono uniti non soltanto attraverso la comunione dei cuori, ma anche attraverso l’unione di entrambi nell’affrontare la grande prova; la prova della vita e della morte.
- Prima di sottoporre il testo della preghiera di Tobia e di Sara ad una analisi più particolareggiata, diciamo ancor una volta che proprio questa preghiera diviene quell’unica e sola parola, in virtù della quale gli sposi novelli vanno incontro alla prova che è ad un tempo prova del bene e del male, della sorte buona e cattiva — nella dimensione di tutta la vita. Sono consapevoli che il male che li minaccia da parte del demonio può colpirli come sofferenza, come morte, distruzione della vita di uno di essi. Ma per respingere quel male che minaccia di uccidere il corpo, bisogna impedire allo spirito maligno l’accesso alle anime, liberarsi interiormente dal suo influsso.
- In questo drammatico momento della storia di entrambi, Tobia e Sara, quando la notte nuziale era loro dovuto, come sposi novelli, parlare reciprocamente col «linguaggio del corpo», trasformano quel «linguaggio» in una voce sola. Quell’unisono è la preghiera. Questa voce, questo parlare all’unisono consente ad entrambi di varcare la «situazione del limite», lo stato di minaccia di male e di morte, aprendosi totalmente, nell’unità di due, al Dio vivo.
La preghiera di Tobia e di Sara diviene, in un certo senso, il più profondo modello della liturgia, la cui parola è parola di forza. È parola di forza attinta alle sorgenti dell’Alleanza e della grazia. È la forza che libera dal male, e che purifica. In questa parola della liturgia si adempie il segno sacramentale del matrimonio, costruito nell’unione dell’uomo e della donna, in base al «linguaggio del corpo», riletto nella verità integrale dell’essere umano.