- Riprendiamo le riflessioni che tendono a collegare l’enciclica «Humanae Vitae» con l’insieme della teologia del corpo. Tale enciclica non si limita a ricordare la norma morale che concerne la convivenza coniugale, riconfermandola davanti alle nuove circostanze. Paolo VI, nel pronunciarsi con magistero autentico mediante l’enciclica (1968), ha avuto dinanzi agli occhi l’autorevole enunciato del Concilio Vaticano II, contenuto nella costituzione «Gaudium et Spes» (1965).
L’enciclica non si trova soltanto sulla linea dell’insegnamento conciliare, ma costituisce anche lo svolgimento e il completamento dei problemi ivi racchiusi, in modo particolare riguardo al problema dell’«accordo dell’amore umano col rispetto della vita». Su questo punto, leggiamo nella «Gaudium et Spes» le seguenti parole (n. 51): «La Chiesa ricorda che non può esserci vera contraddizione tra le leggi divine del trasmettere la vita e del dovere di favorire l’autentico amore coniugale». 2. La costituzione pastorale del Vaticano II esclude qualsiasi «vera contraddizione» nell’ordine normativo, il che, da parte sua, conferma Paolo VI, cercando contemporaneamente di far luce su quella «non-contraddizione» e in tal modo di motivare la rispettiva norma morale, dimostrandone la conformità alla ragione.
Tuttavia, l’«Humanae Vitae» parla non tanto della «non contraddizione» nell’ordine normativo, quanto della «connessione insondabile» tra la trasmissione della vita e l’autentico amore coniugale dal punto di vista dei «due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» («Humanae Vitae», 12), di cui abbiamo già trattato. 3. Ci si potrebbe soffermare a lungo sull’analisi della norma stessa; ma il carattere dell’uno e dell’altro documento induce piuttosto a riflessioni, almeno indirettamente, pastorali. Infatti, la «Gaudium et Spes» è una costituzione pastorale e l’enciclica di Paolo VI – con il suo valore dottrinale – tende ad avere lo stesso orientamento. Essa vuol essere, infatti, risposta agli interrogativi dell’uomo contemporaneo. Sono, questi, interrogativi di carattere demografico, conseguentemente di carattere socio-economico e politico, in rapporto alla crescita della popolazione sul globo terrestre. Sono interrogativi che partono dal campo delle scienze particolari, e di pari passo sono gli interrogativi dei moralisti contemporanei (teologi-moralisti). Sono innanzitutto gli interrogativi dei coniugi, che si trovano già al centro dell’attenzione della costituzione conciliare e che l’enciclica riprende con tutta la precisione desiderabile. Vi leggiamo infatti: «Date le condizioni della vita odierna e dato il significato che le relazioni coniugali hanno per l’armonia tra gli sposi e per la loro mutua fedeltà, non sarebbe forse indicata una revisione delle norme etiche finora vigenti, soprattutto se si considera che esse non possono essere osservate senza sacrifici, talvolta eroici?» («Humanae Vitae», 3). 4. Nella suddetta formulazione è evidente con quanta sollecitudine l’autore dell’enciclica cerchi di affrontare gli interrogativi dell’uomo contemporaneo in tutta la loro portata. La rilevanza di questi interrogativi suppone una risposta proporzionalmente ponderata e profonda. Se dunque da una parte è giusto attendersi un’acuta trattazione della norma, dall’altra, ci si può pure aspettare che un peso non minore sia dato agli argomenti pastorali, concernenti più direttamente la vita degli uomini concreti, di coloro appunto che pongono le domande menzionate all’inizio.
Paolo VI ha avuto sempre davanti agli occhi questi uomini. Di ciò è espressione, tra l’altro, il seguente passo della «Humanae Vitae» (n. 20): «La dottrina della Chiesa sulla regolazione della natalità, che promulga la legge divina, apparirà facilmente a molti di difficile o addirittura impossibile attuazione. E certamente, come tutte le realtà grandi e benefiche, essa richiede serio impegno e molti sforzi, individuali, familiari e sociali. Anzi, non sarebbe attuabile senza l’aiuto di Dio, che sorregge e corrobora la buona volontà, degli uomini. Ma a chi ben riflette non potrà non apparire che tali sforzi sono nobilitanti per l’uomo e benefici per la comunità umana». 5. A questo punto non si parla più della «non-contraddizione» normativa, ma piuttosto della «possibilità dell’osservanza della legge divina», cioè di un argomento, almeno indirettamente, pastorale. Il fatto che la legge debba essere di «possibile» attuazione, appartiene direttamente alla natura stessa della legge, ed è dunque contenuto nel quadro della «non-contraddittorietà normativa». Tuttavia la «possibilità», intesa come «attuabilità» della norma, appartiene anche alla sfera pratica e pastorale. Nel testo citato il mio predecessore parla, precisamente, da questo punto di vista. 6. Si può qui aggiungere una considerazione: il fatto che tutto il retroterra biblico, denominato «teologia del corpo», ci offra, anche se indirettamente, la conferma della verità della norma morale, contenuta nella «Humanae Vitae», ci prepara a considerare più a fondo gli aspetti pratici e pastorali del problema nel suo insieme. I principi e i presupposti generali della «teologia del corpo» non erano forse estratti tutti quanti dalle risposte che Cristo diede alle domande dei suoi concreti interlocutori? E i testi di Paolo – come ad esempio quelli della lettera ai Corinzi – non sono forse un piccolo manuale riguardante i problemi della vita morale dei primi seguaci di Cristo? E in questi testi troviamo certamente quella «regola di comprensione», che sembra tanto indispensabile di fronte ai problemi di cui tratta l’«Humanae Vitae», e che in questa enciclica è presente.
Chi crede che il Concilio e l’enciclica non tengano abbastanza conto delle difficoltà presenti nella vita concreta, non comprende la preoccupazione pastorale che fu all’origine di quei documenti. Preoccupazione pastorale significa ricerca del vero bene dell’uomo, promozione dei valori impressi da Dio nella sua persona; significa cioè attuazione di quella «regola di comprensione», che mira alla scoperta sempre più chiara del disegno di Dio sull’amore umano, nella certezza che l’unico e vero bene della persona umana consiste nell’attuazione di questo disegno divino.
Si potrebbe dire che, proprio nel nome della citata «regola di comprensione» il Concilio ha posto la questione dell’«accordo dell’amore umano col rispetto della vita» («Gaudium et Spes», 51), e l’enciclica «Humanae Vitae» ha in seguito ricordato non soltanto le norme morali che obbligano in questo ambito, ma si occupa inoltre ampiamente del problema della «possibilità dell’osservanza della legge divina».
Le presenti riflessioni sul carattere del documento «Humanae Vitae» ci preparano a trattare in seguito il tema della «paternità responsabile».