La virtù della purezza attua la vita secondo lo spirito

UDIENZA GENERALE  – 11 febbraio 1981

  1. Durante i nostri ultimi incontri del mercoledì abbiamo analizzato due passi tratti dalla prima Lettera ai Tessalonicesi e dalla prima Lettera ai Corinzi, al fine di mostrare ciò che sembra essere essenziale nella dottrina di san Paolo sulla purezza, intesa in senso morale, ossia come virtù. Se nel testo citato della prima Lettera ai Tessalonicesi si può costatare che la purezza consiste nella temperanza, tuttavia in questo testo, come pure nella prima Lettera ai Corinzi, è anche posto in rilievo il momento del «rispetto». Mediante tale rispetto dovuto al corpo umano (e aggiungiamo che, secondo la prima Lettera ai Corinzi, il rispetto è appunto visto in relazione alla sua componente di pudore), la purezza, come virtù cristiana, si rivela nelle Lettere paoline una via efficace per distaccarsi da ciò che nel cuore umano è frutto della concupiscenza della carne.

L’astensione «dalla impudicizia», che implica il mantenimento del corpo «con santità e rispetto», permette di dedurre che, secondo la dottrina dell’Apostolo, la purezza è una «capacità» incentrata sulla dignità del corpo, cioè sulla dignità della persona in relazione al proprio corpo, alla femminilità o mascolinità che in questo corpo si manifesta. La purezza, intesa come «capacità», è appunto espressione e frutto della vita «secondo lo Spirito» nel pieno significato dell’espressione, cioè come nuova capacità dell’essere umano, in cui porta frutto il dono dello Spirito Santo. Queste due dimensioni della purezza – la dimensione morale, ossia la virtù, e la dimensione carismatica, ossia il dono dello Spirito Santo – sono presenti e strettamente connesse nel messaggio di Paolo. Ciò viene posto in particolare rilievo dall’Apostolo nella prima Lettera ai Corinzi, in cui egli chiama il corpo «tempio (quindi: dimora e santuario) dello Spirito Santo».

  1. «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio e non appartenete a voi stessi?» – chiede Paolo ai Corinzi, dopo averli prima istruiti con molta severità circa le esigenze morali della purezza. «Fuggite la prostituzione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impudicizia, pecca contro il proprio corpo». La nota peculiare del peccato che l’Apostolo qui stigmatizza sta nel fatto che tale peccato, diversamente da tutti gli altri, è «contro il corpo» (mentre gli altri peccati sono «fuori del corpo»). Così, dunque, nella terminologia paolina troviamo la motivazione per le espressioni: «i peccati del corpo» o i «peccati carnali». Peccati che sono in contrapposizione appunto con quella virtù, in forza della quale l’uomo mantiene «il proprio corpo con santità e rispetto».
  2. Tali peccati portano con sé la «profanazione» del corpo: privano il corpo della donna o dell’uomo del rispetto ad esso dovuto a motivo della dignità della persona. Tuttavia, l’Apostolo va oltre: secondo lui il peccato contro il corpo è pure «profanazione del tempio». Della dignità del corpo umano, agli occhi di Paolo, decide non soltanto lo spirito umano, grazie a cui l’uomo si costituisce come soggetto personale, ma ancor più la realtà soprannaturale che è la dimora e la continua presenza dello Spirito Santo nell’uomo – nella sua anima e nel suo corpo – come frutto della redenzione compiuta da Cristo. Ne consegue che il «corpo» dell’uomo ormai non è più soltanto «proprio».

E non soltanto per il motivo che è corpo della persona, esso merita quel rispetto, la cui manifestazione nella condotta reciproca degli uomini, maschi e femmine, costituisce la virtù della purezza. Quando l’Apostolo scrive: «Il vostro corpo è tempio dello Spirito che è in voi e che avete da Dio», intende indicare ancora un’altra fonte della dignità del corpo, appunto lo Spirito Santo, che è anche fonte del dovere morale derivante da tale dignità.

  1. E’ la realtà della redenzione, che è pure «redenzione del corpo», a costituire questa fonte. Per Paolo, questo mistero della fede è una realtà viva, orientata direttamente ad ogni uomo. Per mezzo della redenzione, ogni uomo ha ricevuto da Dio quasi nuovamente se stesso e il proprio corpo. Cristo ha iscritto nel corpo umano – nel corpo di ogni uomo e di ogni donna – una nuova dignità, dato che in lui stesso il corpo umano è stato ammesso, insieme all’anima, all’unione con la Persona del Figlio-Verbo. Con questa nuova dignità, mediante la «redenzione del corpo» nacque al tempo stesso anche un nuovo obbligo, di cui scrive Paolo in modo conciso, ma quanto mai toccante: «Siete stati comprati a caro prezzo». Il frutto della redenzione è infatti lo Spirito Santo, che abita nell’uomo e nel suo corpo come in un tempio.

In questo Dono, che santifica ogni uomo, il cristiano riceve nuovamente se stesso in dono da Dio. E questo nuovo, duplice dono obbliga. L’Apostolo fa riferimento a questa dimensione dell’obbligo quando scrive ai credenti, consapevoli del Dono, per convincerli che non si deve commettere l’«impudicizia», non si deve «peccare contro il proprio corpo». Egli scrive: «Il corpo … non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo». E’ difficile esprimere in modo più conciso Ciò che porta con sé per ogni credente il mistero dell’Incarnazione. Il fatto che il corpo umano divenga in Gesù Cristo corpo di Dio-Uomo ottiene per tale motivo, in ciascun uomo, una nuova soprannaturale elevazione, di cui ogni cristiano deve tener conto nel suo comportamento nei riguardi del «proprio» corpo e, evidentemente, nei riguardi del corpo altrui: l’uomo verso la donna e la donna verso l’uomo. La redenzione del corpo comporta l’istituzione in Cristo e per Cristo di una nuova misura della santità del corpo. Proprio a questa «santità» fa richiamo Paolo nella prima Lettera ai Tessalonicesi, quando scrive di «mantenere il proprio corpo con santità e rispetto».

  1. Nel capitolo 6 della prima Lettera ai Corinzi, Paolo precisa invece la verità sulla santità del corpo, stigmatizzando con parole perfino drastiche l’«impudicizia», cioè il peccato contro la santità del corpo, il peccato dell’impurità: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito». Se la purezza è, secondo l’insegnamento paolino, un aspetto della «vita secondo lo Spirito», ciò vuol dire che fruttifica in essa il mistero della redenzione del corpo come parte del mistero di Cristo, iniziato nell’Incarnazione e già attraverso di essa rivolto ad ogni uomo. Questo mistero fruttifica anche nella purezza, intesa come un particolare impegno fondato sull’etica. Il fatto che siamo «stati comprati a caro prezzo», cioè a prezzo della redenzione di Cristo, fa scaturire appunto un impegno speciale, ossia il dovere di «mantenere il proprio corpo con santità e rispetto». La consapevolezza della redenzione del corpo opera nella volontà umana in favore dell’astensione dalla «impudicizia», anzi, agisce al fine di far acquisire un’appropriata abilità o capacità, detta virtù della purezza.

Ciò che risulta dalle parole della prima Lettera ai Corinzi 13 circa l’insegnamento di Paolo sulla virtù cristiana della purezza come attuazione della vita «secondo lo Spirito», è di una particolare profondità ed ha la forza del realismo soprannaturale della fede. E’ necessario che ritorniamo a riflettere su questo tema più di una volta.