la seguente catechesi è tratta dal testo “uomo e donna lo creò” (non mi risulta mai pronunciata dal Santo Padre), per completezza la riporto in questa “raccolta” augurandomi di non violare alcun diritto dell’Editore (ho riportato solo il testo attribuito al Santo Padre e non ho riportato le note ritenendole proprietà intellettuale dell’Editore e dei curatori dell’edizione)
- La preghiera di Tobia e di Sara — riportata integralmente nei capitoli precedenti — ha soprattutto il carattere di lode e ringraziamento; e solo in seguito diviene gradatamente supplica: «Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia» (Tb 8, 7). Lodando il Dio dell’Alleanza: «Dio dei nostri padri», gli sposi novelli parlano, in certo senso, il linguaggio di tutti gli esseri visibili e invisibili: «Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli» (Tb 8, 5).
Su questo ampio, si può dire «cosmico» sfondo, entrambi ricordano con gratitudine la creazione dell’uomo: quel «maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27) del Libro della Genesi.
Nelle parole della preghiera sono presenti due tradizioni — sia quella levitica (Gen 1, 27-28) : la creazione dell’uomo maschio e femmina e il dono gratuito della benedizione della fecondità: «da loro due nacque tutto il genere umano» (Tb 8, 6); sia, in modo forse più pieno, quella jahvista. Cosi, dunque, si parla qui della creazione distinta della donna, con le parole: «gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gen 2, 18). Tobia e Sara lo rilevano due volte nella loro preghiera: «Tu hai detto: non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui». E prima ancora: «Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno» (Tb 8, 6).
- Si può dedurre che la verità espressa appunto in queste parole del Libro della Genesi occupa il posto centrale nella coscienza religiosa di Tobia e di Sara, come il midollo stesso del loro «credo» coniugale, e che al medesimo tempo questa verità è loro particolarmente vicina. Per mezzo di essa si rivolgono a Dio-Jahvè non soltanto con le parole della Bibbia, ma esprimono inoltre pienamente ciò che riempie i loro cuori. Desiderano infatti divenire un nuovo anello della catena che risale agli inizi stessi dell’uomo. In quel momento in cui sposati l’uno con l’altro, come marito e moglie, debbono essere «una sola carne», s’impegnano comunemente a rileggere il «linguaggio del corpo» proprio del loro stato, nella sua sorgente divina. In tal modo, il «linguaggio del corpo» diventa linguaggio della liturgia: viene fissato il più profondamente possibile, collocato cioè nel mistero del «principio».
- Di pari passo con questo va la necessità di una piena purificazione. Accostandosi alla sorgente divina del «linguaggio del corpo», gli sposi novelli ne sentono il bisogno e lo esprimono. Tobia dice: «Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione» (Tb 8, 7). In tal modo indica il momento di purificazione, cui deve essere sottoposto il «linguaggio del corpo», quando l’uomo e la donna si accingono ad esprimere in quel linguaggio il segno dell’alleanza sacramentale. In questo segno, il matrimonio deve servire a costruire la comunione reciproca delle persone, riproducendo il significato sponsale del corpo nella sua verità interiore. Le parole di Tobia: «non per lussuria» vanno rilette nel testo integrale della Bibbia e della Tradizione.
- La preghiera del Libro di Tobia colloca il «linguaggio del corpo» sul terreno dei temi essenziali della teologia del corpo. È un linguaggio «oggettivizzato», pervaso non tanto dalla forza emotiva dell’esperienza (come nel caso del Cantico dei Cantici, ma anche — in modo diverso — di alcuni testi profetici) quanto dalla profondità e gravità della verità dell’esistenza stessa.
Gli sposi professano questa verità comunemente davanti al Dio dell’Alleanza: «Dio dei nostri padri». Si può dire che sotto questo aspetto il «linguaggio del corpo» diventa linguaggio della liturgia. Tobia e Sara parlano il linguaggio dei ministri del sacramento, consapevoli che nel patto coniugale dell’uomo e della donna — appunto attraverso il «linguaggio del corpo» — si esprime e si attua il mistero che ha la sua sorgente in Dio stesso. Il loro patto coniugale è infatti l’immagine — e il primordiale sacramento dell’Alleanza di Dio con l’uomo, con il genere umano — di quell’Alleanza che trae la sua origine dell’Amore eterno.
Tobia e Sara terminano la loro preghiera con le parole seguenti: «Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia» (Tb 8, 7). Si può ammettere (in base al contesto) che essi hanno davanti agli occhi la prospettiva di perseverare nella comunione sino alla fine dei loro giorni — prospettiva che si apre dinanzi a loro con la prova della vita e della morte, già durante la prima notte nuziale. Al tempo stesso essi vedono con lo sguardo della fede la santità di quella vocazione, in cui – attraverso l’unità dei due, costruita sulla verità reciproca del «linguaggio del corpo» — debbono rispondere alla chiamata di Dio stesso, contenuta nel mistero del «principio». E per questo chiedono: «Degnati di aver misericordia di me e di lei».
- Gli sposi del Cantico dei Cantici dichiarano vicendevolmente, con parole ardenti, il loro amore umano. Gli sposi novelli del Libro di Tobia chiedono a Dio di saper rispondere all’amore. L’uno e l’altro trovano il loro posto in ciò che costituisce il segno sacramentale del matrimonio. L’uno e l’altro partecipano alla formazione di questo segno.
Si può dire che attraverso l’uno e l’altro il «linguaggio del corpo», riletto sia nella dimensione soggettiva della verità dei cuori umani, sia nella dimensione «oggettiva» della verità di vivere nella comunione, diviene la lingua della liturgia. La preghiera degli sposi novelli del Libro di Tobia sembra certamente confermarlo in un modo diverso dal Cantico dei Cantici, e anche in modo che senza dubbio commuove più profondamente