- Abbiamo detto precedentemente che il principio della morale coniugale, insegnato dalla Chiesa (Concilio Vaticano II, Paolo VI), è il criterio della fedeltà al piano divino.
In conformità con questo principio l’enciclica «Humanae Vitae» distingue rigorosamente tra quello che costituisce il modo moralmente illecito della regolazione delle nascite o, con più precisione, della regolazione della fertilità e quello moralmente retto.
In primo luogo, è moralmente illecita «l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato» («aborto»), la «sterilizzazione diretta» e «ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle conseguenze naturali si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione» («Humanae Vitae», 14), quindi, tutti i mezzi contraccettivi. E’ invece moralmente lecito «il ricorso ai periodi infecondi»: «Se dunque per distanziare le nascite esistono seri motivi, derivanti o dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi, o da circostanze esteriori, la Chiesa insegna essere allora lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere i principi morali…» («Humanae Vitae», 16). 2. L’enciclica sottolinea in modo particolare che «tra i due casi esiste una differenza essenziale» e cioè una differenza di natura etica: «Nel primo caso, i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione naturale; nell’altro caso, essi impediscono lo svolgimento dei processi naturali» («Humanae Vitae», 16).
Ne derivano due azioni con qualificazione etica diversa, anzi, addirittura opposta: la regolazione naturale della fertilità è moralmente retta, la contraccezione non è moralmente retta. Questa differenza essenziale tra le due azioni (modi di agire) concerne la loro intrinseca qualificazione etica, sebbene il mio predecessore Paolo VI affermi che «nell’uno e nell’altro caso, i coniugi concordano nella volontà positiva di evitare la prole per ragioni plausibili», e persino scriva: «cercando la sicurezza che non verrà» («Humanae Vitae», 16). In queste parole il documento ammette che, sebbene anche coloro che fanno uso delle pratiche anticoncezionali possano essere ispirati da «ragioni plausibili», tuttavia ciò non cambia la qualificazione morale che si fonda sulla struttura stessa dell’atto coniugale come tale. 3. Si potrebbe osservare, a questo punto, che i coniugi, i quali ricorrono alla regolazione naturale della fertilità, potrebbero essere privi delle ragioni valide, di cui si è parlato in precedenza: ciò costituisce, però, un problema etico a parte, quando si tratti del senso morale della «paternità e maternità responsabili».
Supponendo che le ragioni per decidere di non procreare siano moralmente rette, resta il problema morale del modo di agire in tale caso, e questo si esprime in un atto che – secondo la dottrina della Chiesa trasmessa nell’enciclica – possiede una sua intrinsesa qualificazione morale positiva o negativa. La prima, positiva, corrisponde alla «naturale» regolazione della fertilità; la seconda, negativa, corrisponde alla «contraccezione artificiale». 4. Tutta la precedente argomentazione si riassume nell’esposizione della dottrina contenuta nella «Humanae Vitae», rilevandone il carattere normativo e insieme pastorale. Nella dimensione normativa si tratta di precisare e chiarire i principi morali dell’agire; nella dimensione pastorale si tratta soprattutto di illustrare la possibilità di agire secondo questi principi («possibilità dell’osservanza della legge divina»: «Humanae Vitae», 20).
Dobbiamo soffermarci sull’interpretazione del contenuto dell’enciclica. A tal fine occorre vedere quel contenuto, quell’insieme normativa-pastorale alla luce della teologia del corpo, quale emerge dall’analisi dei testi biblici. 5. La teologia del corpo non è tanto una teoria, quanto piuttosto una specifica, evangelica, cristiana pedagogia del corpo. Ciò deriva dal carattere della Bibbia, e soprattutto dal Vangelo che, come messaggio salvifico, rivela ciò che è il vero bene dell’uomo, al fine di modellare – a misura di questo bene – la vita sulla terra nella prospettiva della speranza del mondo futuro.
L’enciclica «Humanae Vitae», seguendo questa linea, risponde al quesito sul vero bene dell’uomo come persona, in quanto maschio e femmina; su ciò che corrisponde alla dignità dell’uomo e della donna, quando si tratta dell’importante problema della trasmissione della vita nella convivenza coniugale.
A questo problema dedicheremo ulteriori riflessioni.