- Le riflessioni finora svolte sull’amore umano nel piano divino resterebbero in qualche modo incomplete, se non cercassimo di vederne l’applicazione concreta nell’ambito della morale coniugale e familiare. Vogliamo compiere questo ulteriore passo, che ci porterà alla conclusione del nostro ormai lungo cammino, sulla scorta di un importante pronunciamento del magistero recente: l’enciclica «Humanae Vitae», che il papa Paolo VI ha pubblicato nel luglio del 1968. Rileggeremo questo significativo documento alla luce dei risultati a cui siamo giunti esaminando l’iniziale disegno divino e le parole di Cristo, che ad esso rimandano. 2. «La Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere per sé aperto alla trasmissione della vita… Tale dottrina, più volte esposta dal magistero, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» («Humanae Vitae», 11-12). 3. Le considerazioni che mi accingo a fare riguarderanno particolarmente il passo dell’enciclica che tratta dei «due significati dell’atto coniugale» e della loro «connessione inscindibile». Non intendo presentare un commento all’intera enciclica, ma piuttosto illustrarne e approfondirne un passo. Dal punto di vista della dottrina morale racchiusa nel documento citato, quel passo ha un significato centrale. Al tempo stesso è un brano che si collega strettamente con le nostre precedenti riflessioni sul matrimonio nella dimensione del segno (sacramentale).
Poiché – come detto – è un passo centrale dell’enciclica, è ovvio che esso sia inserito molto profondamente in tutta la sua struttura: la sua analisi pertanto deve orientarci verso le varie componenti di quella struttura, anche se l’intenzione è di non commentare l’intero testo. 4. Nelle riflessioni sul segno sacramentale, è stato già detto a più riprese che esso è basato sul «linguaggio del corpo» riletto nella verità. Si tratta di una verità affermata una prima volta all’inizio del matrimonio, quando gli sposi novelli, promettendosi a vicenda di «essere fedeli sempre… e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della loro vita», divengono ministri del matrimonio come sacramento della Chiesa.
Si tratta poi di una verità che viene, per così dire, sempre nuovamente affermata. Infatti l’uomo e la donna, vivendo nel matrimonio «sino alla morte», ripropongono di continuo, in un certo senso, quel segno ch’essi hanno posto – attraverso la liturgia del sacramento – il giorno del loro sposalizio.
Le parole sopra citate dell’enciclica di papa Paolo VI riguardano quel momento nella vita comune dei coniugi, in cui entrambi, unendosi nell’atto coniugale, diventano, secondo l’espressione biblica, «una sola carne» (Gn 2,24). Proprio in un tale momento, così ricco di significato, è pure particolarmente importante che si rilegga il «linguaggio del corpo» nella verità. Tale lettura diviene condizione indispensabile per agire nella verità, ossia per comportarsi conformemente al valore e alla norma morale. 5. L’enciclica non solo ricorda questa norma, ma cerca anche di darne l’adeguato fondamento. Per chiarire più a fondo quella «connessione inscindibile che Dio ha voluto… tra i due significati dell’atto coniugale», Paolo VI così scrive nella frase successiva: «…per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce profondamente gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna» («Humanae Vitae», 12).
Osserviamo che nella frase precedente il testo appena citato tratta soprattutto del «significato» e nella frase successiva, della «intima struttura» (cioè della natura) del rapporto coniugale. Definendo questa «struttura intima», il testo fa riferimento «alle leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna».
Il passaggio dalla frase, che esprime la norma morale, alla frase che la esplica e motiva, è particolarmente significativo. L’enciclica induce a cercare il fondamento della norma, che determina la moralità delle azioni dell’uomo e della donna nell’atto coniugale, nella natura di questo stesso atto e, ancor più profondamente, nella natura degli stessi soggetti che agiscono. 6. In tal modo, l’«intima struttura» (ossia natura) dell’atto coniugale costituisce la base necessaria per un’adeguata lettura e scoperta dei significati, che devono trasferirsi nella coscienza e nelle decisioni delle persone agenti, e anche la base necessaria per stabilire l’adeguato rapporto di questi significati, cioè la loro inscindibilità. Poiché ad un tempo «l’atto coniugale unisce profondamente gli sposi… e li rende atti alla generazione di nuove vite», e l’una cosa e l’altra avvengono «per la sua intima struttura», ne consegue che la persona umana (con la necessità propria della ragione, la necessità logica) «deve» leggere contemporaneamente i «due significati dell’atto coniugale» e anche la «connessione inscindibile tra i due significati dell’atto coniugale».
Di null’altro qui si tratta che di leggere nella verità il «linguaggio del corpo» come è stato detto più volte nelle precedenti analisi bibliche. La norma morale, insegnata costantemente dalla Chiesa in questo ambito, ricordata e riconfermata da Paolo VI nella sua enciclica, scaturisce dalla lettura del «linguaggio del corpo» nella verità.
Si tratta qui della verità, prima nella dimensione ontologica («struttura intima») e poi – di conseguenza – nella dimensione soggettiva e psicologica («significato»). Il testo dell’enciclica sottolinea che nel caso in questione si tratta di una norma della legge naturale.