Presentazione
Uno dei fenomeni oggi più diffusi e che interpellano fortemente la coscienza della comunità cristiana, è il numero crescente delle unioni di fatto nell’insieme della società, con la conseguente disaffezione per la stabilità del matrimonio che ne deriva. Nel suo discernimento dei “segni dei tempi”, la Chiesa non poteva dunque mancare di prestare attenzione a questa realtà.
Consapevole delle gravi ripercussioni sociali e pastorali di questa situazione, il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha organizzato, nel corso del 1999 e nei primi mesi del 2000, una serie di riunioni di studio cui hanno partecipato eminenti personalità e prestigiosi esperti di tutto il mondo, al fine di analizzare adeguatamente questo delicato problema, di così vasta portata per la Chiesa e per il mondo.
Il presente documento è frutto di questo lavoro. Esso affronta una problematica attuale e difficile, che tocca da vicino il nucleo centrale delle relazioni umane, la questione più delicata dell’intima unione tra famiglia e vita, le zone più sensibili del cuore umano. Allo stesso tempo, di fronte all’innegabile portata pubblica dell’attuale congiuntura politica internazionale, si rende necessaria e urgente una parola di orientamento, diretta soprattutto a quanti hanno responsabilità in questa materia. Sono loro, in effetti, che, nelle loro attività legislative, possono dare consistenza giuridica all’istituzione matrimoniale o, al contrario, diminuire la consistenza del bene comune che questa istituzione naturale protegge, partendo da una visione dei problemi personali che non corrisponde alla realtà.
Queste riflessioni sono dirette altresì ai pastori d’anime, che devono accogliere e guidare tanti cristiani d’oggi, e accompagnarli in un itinerario di apprezzamento del valore naturale, protetto dall’istituto matrimoniale e confermato dal sacramento cristiano. La famiglia fondata sul matrimonio corrisponde al disegno del Creatore “fin da principio” (Mt 19,4). Nel Regno di Dio non può essere seminato altro seme di quello della verità già iscritta nel cuore umano, l’unica capace di “produrre frutto con la perseveranza” (Lc 8,15); una verità che si fa misericordia, comprensione e invito a riconoscere in Gesù la “luce del mondo” (Gv 8,12) e la forza che libera dai vincoli del male.
Questo documento intende inoltre contribuire in modo positivo al dialogo al fine di mettere in luce la verità delle cose e le esigenze che procedono dallo stesso ordine naturale, partecipando al dibattito socio-politico e alla responsabilità verso il bene comune.
Voglia Dio che queste considerazioni, serene e responsabili, condivise da tanti uomini di buona volontà, siano di beneficio per quella comunità di vita, necessaria per la Chiesa e per il mondo, che è la famiglia.
Città del Vaticano, 26 luglio 2000
Festa di San Gioacchino e Sant’Anna, Genitori della S.ma Vergine Maria
Card. Alfonso López Trujillo
Presidente
S.E.Mons. Francisco Gil Hellín
Segretario
Introduzione
(1) In questi ultimi anni le cosiddette “unioni di fatto” hanno acquisito un rilievo particolare nella società. Ci sono iniziative che reclamano il loro riconoscimento istituzionale e perfino la loro equiparazione alle famiglie nate dall’impegno matrimoniale. Di fronte a una questione di una tale importanza, che può avere tante ripercussioni future sull’intera comunità umana, il Pontificio Consiglio per la Famiglia si propone, attraverso le riflessioni che seguono, di attirare l’attenzione sui pericoli che scaturirebbero da un tale riconoscimento ed equiparazione per l’identità dell’unione matrimoniale e sul grave deterioramento che ne deriverebbe per la famiglia e per il bene comune della società.
Dopo aver esaminato l’aspetto sociale delle unioni di fatto, i loro elementi costitutivi e le loro motivazioni esistenziali, il presente documento affronta il problema del loro riconoscimento e della loro equiparazione giuridica, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio e all’insieme della società. Considera poi la famiglia come bene sociale, insistendo sui valori oggettivi da stimolare e sul dovere di giustizia che la società ha di difendere e promuovere la famiglia fondata sul matrimonio. Esamina quindi in maniera approfondita alcuni aspetti di questa rivendicazione in rapporto al matrimonio cristiano. Presenta infine alcuni criteri generali di discernimento pastorale per orientare le comunità cristiane.
Le considerazioni qui esposte non si rivolgono soltanto a quanti riconoscono espressamente nella Chiesa cattolica “la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (1 Tim 3,15), ma a tutti i cristiani delle diverse Chiese e comunità cristiane, come pure a quanti sono sinceramente impegnati a favore del bene prezioso della famiglia, cellula fondamentale della società. Come insegna il Concilio Vaticano II, “la salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare.
Perciò i cristiani, assieme con quanti hanno alta stima di questa stessa comunità, si rallegrano sinceramente dei vari sussidi grazie ai quali gli uomini oggi progrediscono nel favorire questa comunità di amore e nel rispetto della vita: sussidi che sono di aiuto a coniugi e genitori nella loro preminente missione”.
I – Le “unioni di fatto”
Aspetto sociale delle “unioni di fatto”
(2) L’espressione “unione di fatto” abbraccia un insieme di realtà umane molteplici ed eterogenee, che hanno come elemento comune quello di essere delle convivenze (di tipo sessuale) senza matrimonio. Le unioni di fatto sono caratterizzate precisamente dal fatto che esse ignorano, rimandano o perfino rifiutano l’impegno coniugale. Da ciò derivano gravi conseguenze.
Con il matrimonio si assumono pubblicamente, mediante il patto d’amore coniugale, tutte le responsabilità che derivano dal vincolo così stabilito. Da questa assunzione pubblica di responsabilità risulta un bene non solo per i coniugi e i figli nella loro crescita affettiva e formativa, bensì anche per gli altri membri della famiglia. La famiglia fondata sul matrimonio è così un bene fondamentale e prezioso per l’intera società, le cui fondamenta riposano solidamente sui valori che si concretizzano nei rapporti familiari e che trova la propria garanzia nel matrimonio stabile. Il bene generato dal matrimonio è ugualmente essenziale per la Chiesa, che riconosce nella famiglia la “Chiesa domestica”. Tutto ciò si trova minacciato dall’abbandono dell’istituzione matrimoniale, abbandono implicito nelle unione di fatto.
(3) Può succedere che si desideri fare o che si faccia un uso della sessualità diverso da quello iscritto da Dio nella natura umana e nella finalità specificamente umana dei suoi atti. In questo modo viene negato il linguaggio interpersonale dell’amore e gravemente compromesso, mediante un disordine oggettivo, il dialogo autentico di vita disposto dal Creatore e Redentore del genere umano. Essendo la dottrina della Chiesa cattolica ben conosciuta dall’opinione pubblica, non è necessario tornarvi in questa sede. La dimensione sociale del problema richiede tuttavia uno sforzo supplementare di riflessione per mostrare, specialmente a coloro che detengono responsabilità pubbliche, la non auspicabilità di elevare queste situazioni private al rango di pubblico interesse. Con il pretesto di regolamentare un quadro di convivenza sociale e giuridica, si cerca di giustificare il riconoscimento istituzionale delle unioni di fatto, che diventano istituzioni sanzionate a livello legislativo da diritti e da doveri, a detrimento della famiglia fondata sul matrimonio. Le unioni di fatto vengono poste così ad un livello giuridico simile a quello del matrimonio. Una tale convivenza viene qualificata pubblicamente di “bene”, elevandola ad una condizione simile, o perfino equiparandola al matrimonio, a pregiudizio della verità e della giustizia. In questo modo, si contribuisce fortemente al deterioramento di questa istituzione naturale, assolutamente vitale, fondamentale e necessaria all’insieme del corpo sociale, che è il matrimonio.
Elementi costitutivi delle unioni di fatto
(4) Le unioni di fatto non hanno tutte la stessa portata sociale né le stesse motivazioni. Quando si cerca di determinare le loro caratteristiche positive, oltre ai loro punti comuni negativi che consistono nel rimandare, ignorare o rifiutare l’unione matrimoniale, risaltano alcuni elementi.
Anzitutto, il carattere puramente pratico (fattuale) di un tale rapporto. È opportuno precisare che esso suppone una coabitazione accompagnata da una relazione sessuale (il che le distingue da altri tipi di convivenza) e da una relativa tendenza alla stabilità (che le distingue dai legami con coabitazioni sporadiche o occasionali). Le unioni di fatto non comportano diritti e doveri matrimoniali, né pretendono una stabilità basata sul vincolo matrimoniale. Si distinguono per la ferma rivendicazione di non implicare alcun vincolo. L’instabilità costante, dovuta alla possibilità di interrompere la vita in comune è, di conseguenza, caratteristica delle unioni di fatto. Esiste anche un certo “impegno”, più o meno esplicito, di “fedeltà” reciproca, per così dire, fintanto che dura la relazione.
(5) Alcune unioni di fatto sono chiaramente la conseguenza di una scelta ben precisa. L’unione di fatto “ad esperimento” è frequente tra coloro che progettano di sposarsi nel futuro, ma che condizionano il loro matrimonio all’esperienza di un’unione senza vincolo matrimoniale. Essa costituisce in qualche modo una “tappa condizionata” al matrimonio, paragonabile al matrimonio “per esperimento”, però, a differenza di questo, aspira ad un certo riconoscimento sociale.
Alcune persone che convivono giustificano la loro scelta con motivi economici o per evitare difficoltà legali. Molte volte i veri motivi sono più profondi. Non è raro che questo genere di pretesti nasconda una mentalità che valorizza poco la sessualità. È una mentalità che porta l’impronta del pragmatismo, dell’edonismo e di una concezione dell’amore senza alcuna responsabilità. Permette di evitare l’impegno di stabilità, le responsabilità, i diritti e i doveri, inerenti all’amore coniugale autentico.
In altri casi, le unioni di fatto vengono stabilite tra persone divorziate. Rappresentano allora un’alternativa al matrimonio. Con la legislazione divorzista il matrimonio tende spesso a perdere la propria identità nella coscienza individuale. A questo proposito bisogna sottolineare che la sfiducia verso l’istituzione matrimoniale nasce a volte dall’esperienza negativa e traumatica di un divorzio precedente, o dal divorzio dei propri genitori. Questo preoccupante fenomeno comincia ad essere socialmente rilevante nei paesi economicamente sviluppati.
Non è raro che le persone che convivono in una unione di fatto rifiutino esplicitamente il matrimonio per motivi ideologici. Si tratta allora della scelta di un’alternativa, di un modo ben preciso di vivere la propria sessualità. Queste persone considerano il matrimonio inaccettabile, contrario alla propria ideologia, una “violenza inammissibile al loro benessere personale” o perfino la “tomba dell’amore selvaggio”, espressioni queste che denotano un’errata conoscenza della vera natura dell’amore umano, della sua oblatività, nobiltà e bellezza nella costanza e nella fedeltà dei rapporti umani.
(6) Tuttavia non sempre le unioni di fatto sono il risultato di una chiara scelta positiva: a volte le persone che convivono in queste unioni mostrano di tollerare o subire questa situazione. In alcuni paesi, la maggior parte delle unioni di fatto è dovuta ad una disaffezione al matrimonio, non per motivi ideologici, bensì per l’assenza di una formazione adeguata alla responsabilità, prodotta della situazione di povertà e di emarginazione dell’ambiente in cui vivono. La mancanza di fiducia nel matrimonio, può essere ugualmente dovuta a condizionamenti familiari, soprattutto nel Terzo Mondo. Inoltre le situazioni di ingiustizia e le strutture di peccato rappresentano un fattore non trascurabile, di cui bisogna tenere conto. La predominanza culturale di atteggiamenti machisti o razzisti contribuisce ad aggravare notevolmente queste situazioni di difficoltà.
In questo contesto non è raro trovare unioni di fatto in cui sia espressa, fin dall’inizio, un volontà di convivenza, in principio autentica, in cui i conviventi si considerano uniti come se fossero marito e moglie, e si sforzano di assolvere obblighi simili a quelli del matrimonio. La povertà, risultato spesso di squilibri nell’ordine economico mondiale, e le lacune strutturali in materia di istruzione, rappresentano per loro gravi ostacoli alla formazione di una vera famiglia.
Altrove, è più frequente che ci sia coabitazione (per periodi di tempo più o meno lunghi) fino al concepimento o alla nascita del primo figlio. Questi costumi corrispondono a pratiche ancestrali e tradizionali, particolarmente forti in certe regioni dell’Africa e dell’Asia, legate a quello che viene chiamato “matrimonio a tappe”. Sono pratiche contrarie alla dignità umana, difficili da sradicare, e che configurano un deterioramento negativo, con una problematica sociale caratteristica e ben definita. Questo tipo di unioni non deve essere classificato tra le unioni di fatto di cui ci occupiamo qui (che si manifestano al di fuori di un’antropologia culturale di tipo tradizionale) e rappresentano una sfida per l’inculturazione della fede nel terzo millennio dell’era cristiana.
La complessità e la diversità della problematica delle unioni di fatto, appaiono chiaramente se si considera, ad esempio, che a volte la loro causa più immediata può corrispondere a motivi assistenziali. È il caso, ad esempio, nei sistemi più sviluppati, di persone in età avanzata che stabiliscono relazioni solo di fatto per paura che il matrimonio comporti maggiori carichi fiscali o la perdita della pensione.
I motivi personali e il fattore culturale
(7) E’ importante interrogarsi sui motivi profondi che, nella società contemporanea, sono all’origine della crisi del matrimonio, tanto nella sua dimensione religiosa quanto in quella civile, e delle iniziative per ottenere il riconoscimento delle unioni di fatto e la loro equiparazione. In questo modo, situazioni instabili che si definiscono più per il loro aspetto negativo (l’omissione del vincolo matrimoniale), che per quello positivo, sembrano collocate ad un livello simile a quello del matrimonio. Effettivamente, tutte queste situazioni si consolidano in forme diverse di relazione, ma tutte sono in contrasto con una vera e totale donazione reciproca, stabile e socialmente riconosciuta. La complessità dei motivi di ordine economico, sociologico e psicologico, iscritti in un contesto di privatizzazione dell’amore e di soppressione del carattere istituzionale del matrimonio, suggerisce l’opportunità di esaminare più approfonditamente la prospettiva ideologica e culturale a partire dalla quale si è andato progressivamente sviluppando ed affermando il fenomeno delle unioni di fatto, così come lo conosciamo oggi.
La progressiva diminuzione del numero dei matrimoni e delle famiglie riconosciute come tali dalla legge di diversi Stati, e l’aumento in alcuni paesi del numero di coppie non sposate conviventi, non possono essere sufficientemente spiegati da un movimento culturale isolato e spontaneo, bensì rispondono a cambiamenti storici intervenuti nelle società contemporanee, in questo momento culturale che alcuni autori chiamano “post-moderno”. È certo che la minore incidenza del mondo agricolo, lo sviluppo del settore terziario dell’economia, l’aumento della durata media di vita, l’instabilità dell’impiego e delle relazioni personali, la riduzione del numero dei membri della famiglia che vivono sotto lo stesso tetto, la globalizzazione dei fenomeni sociali ed economici, hanno avuto come risultato una maggiore instabilità della famiglia ed hanno favorito un ideale di famiglia meno numeroso. Ma basta questo a spiegare la situazione attuale del matrimonio? L’istituzione matrimoniale conosce una crisi meno forte laddove le tradizioni familiari sono più forti.
(8) In questo processo che potremmo denominare di graduale destrutturazione culturale e umana dell’istituzione matrimoniale, non deve essere sottovalutata la diffusione di una certa ideologia di “gender”. L’essere uomo o donna non sarebbe determinato fondamentalmente dal sesso, bensì dalla cultura. Tale ideologia attacca le fondamenta della famiglia e delle relazioni interpersonali. Occorre fare alcune considerazioni al riguardo, data l’importanza di questa ideologia nella cultura contemporanea, e la sua influenza sul fenomeno delle unioni di fatto.
Nella dinamica integrativa della personalità umana, un fattore molto importante è quello dell’identità. Durante l’infanzia e l’adolescenza, la persona acquisisce progressivamente coscienza del proprio “io”, della propria identità. Tale coscienza della propria identità si iscrive in un processo di riconoscimento di sé e, di conseguenza, della propria dimensione sessuale. È pertanto una coscienza di identità e di differenza. Gli esperti sono soliti distinguere tra identità sessuale (cioè la coscienza di identità psico-biologica del proprio sesso, e della differenza rispetto all’altro sesso) e identità di genere (cioè la coscienza dell’identità psico-sociale e culturale del ruolo che le persone di un determinato sesso svolgono nella società). In un processo di integrazione armonico e corretto, l’identità sessuale e di genere si complementano, poiché le persone vivono in società in modo concorde ai modelli culturali corrispondenti al proprio sesso. La categoria di identità sessuale di genere (“gender”) è pertanto d’ordine psico-sociale e culturale. Essa corrisponde armonicamente all’identità sessuale, d’ordine psico-biologico, quando l’integrazione della personalità si accompagna al riconoscimento della pienezza della verità interiore della persona, unità d’anima e corpo.
Nel decennio 1960-70, si sono affermate alcune teorie (che oggi gli esperti qualificano generalmente come “costruzioniste”) secondo le quali l’identità sessuale di genere (“gender”) sarebbe non solo il prodotto dell’interazione tra la comunità e l’individuo, ma anche indipendente dall’identità sessuale personale. In altri termini, nella società i generi maschile e femminile sarebbero esclusivamente il prodotto di fattori sociali, senza alcuna relazione con la dimensione sessuale della persona. In questo modo, ogni azione sessuale sarebbe giustificabile, inclusa l’omosessualità, e spetterebbe alla società cambiare per fare posto, oltre a quello maschile e femminile, ad altri generi nella configurazione della vita sociale.
L’ideologia di “gender” ha trovato nell’antropologia individualista del neo-liberalismo radicale un ambiente favorevole. La rivendicazione di uno statuto analogo, per il matrimonio e per le unioni di fatto (incluse quelle omosessuali) è oggi generalmente giustificato facendo ricorso a categorie e termini derivanti dall’ideologia di “gender”. Esiste così una certa tendenza a designare come “famiglia” ogni tipo di unioni consensuali, ignorando la naturale inclinazione della libertà umana alla donazione reciproca, e le sue caratteristiche essenziali, che sono la base di questo bene comune dell’umanità che è l’istituzione matrimoniale.
II – La famiglia fondata sul matrimonio e le unioni di fatto
Famiglia, vita e unione di fatto
(9) Occorre comprendere le differenze sostanziali tra matrimonio e unioni di fatto. È qui che si radica la differenza tra la famiglia d’origine matrimoniale e la comunità originata da un’unione di fatto. La comunità familiare nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto d’amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un’istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e vita formano una unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si tratta del nucleo vivente della successione (procreazione e educazione) delle generazioni umane.
Nelle società aperte e democratiche di oggi, lo Stato e i poteri pubblici non devono istituzionalizzare le unioni di fatto, accordando loro uno statuto simile a quello del matrimonio e della famiglia. Tanto meno equipararle alla famiglia fondata sul matrimonio. Si tratterebbe di un uso arbitrario del potere che non contribuirebbe al bene comune, poiché la natura originaria del matrimonio e della famiglia precede e supera, in maniera assoluta e radicale, il potere sovrano dello Stato. Una prospettiva serenamente distante dall’aspetto arbitrario o demagogico, invita a riflettere molto seriamente, all’interno alle diverse comunità politiche, sulle differenze essenziali tra l’apporto vitale e necessario al bene comune della famiglia fondata sul matrimonio e l’altra realtà delle semplici convivenze affettive. Non sembra ragionevole sostenere che le funzioni vitali delle comunità familiari centrate sull’istituzione matrimoniale stabile e monogamica possano essere svolte in forma massiva, stabile e permanente, dalle unioni basate unicamente su relazioni affettive. Come fattore essenziale di esistenza, stabilità e pace, la famiglia fondata sul matrimonio deve essere attentamente protetta e promossa in una visione più ampia che tenga conto dell’avvenire e dell’interesse comune della società.
(10) L’uguaglianza di fronte alla legge deve rispettare il principio di giustizia, che esige che si tratti ciò che è uguale come uguale, e ciò che è diverso come diverso; cioè che ciascuno abbia ciò che gli è dovuto in giustizia. Questo principio di giustizia si infrangerebbe se si desse alle unioni di fatto un trattamento giuridico simile o equivalente a quello spettante alla famiglia fondata sul matrimonio. Se la famiglia matrimoniale e le unioni di fatto non sono simili né equivalenti nei loro doveri, funzioni e servizi alla società, non possono neanche essere simili né equivalenti nello status giuridico.
Il pretesto addotto da coloro che premono per il riconoscimento delle unioni di fatto (cioè la “non discriminazione”), comporta una vera discriminazione della famiglia matrimoniale, che sarebbe posta su un piano di uguaglianza con tutte le altre forme di convivenza, senza tenere assolutamente conto dell’esistenza o meno di un impegno di fedeltà reciproca e di generazione-educazione dei figli. La tendenza attuale di alcune comunità politiche a discriminare il matrimonio riconoscendo alle unioni di fatto uno statuto istituzionale simile o equivalente a quello del matrimonio e della famiglia o perfino equiparandolo, è un grave segno di deterioramento della coscienza morale sociale, di “pensiero debole” di fronte al bene comune, quando non si tratta di una vera e propria imposizione ideologica esercitata da gruppi di pressione influenti.
(11) Occorre tenere ben presente, nello stesso ordine di principi, la distinzione tra interesse pubblico e interesse privato. Nel primo caso, la società e i poteri pubblici hanno il dovere di proteggerlo e promuoverlo. Nel secondo caso, lo Stato deve limitarsi a garantire la libertà. Dove l’interesse è pubblico, interviene il diritto pubblico. E ciò che risponde a interessi privati, deve essere rimesso, al contrario, all’ambito privato. Il matrimonio e la famiglia rivestono un interesse pubblico e sono il nucleo fondamentale della società e dello Stato; come tali, devono essere riconosciuti e protetti. Due o più persone possono decidere di vivere insieme, con o senza relazione sessuale, però questa convivenza o coabitazione non riveste per questo interesse pubblico. I poteri pubblici possono evitare di intromettersi in questa scelta, che ha carattere privato. Le unioni di fatto sono la conseguenza di comportamenti privati e su questo piano privato dovrebbero restare. Il loro riconoscimento pubblico o la loro equiparazione al matrimonio, con la conseguente elevazione degli interessi privati al rango di interessi pubblici, sarebbero pregiudizievoli per la famiglia fondata sul matrimonio. Nel matrimonio, l’uomo e la donna costituiscono tra di loro un’alleanza di tutta la vita, ordinata, per sua stessa natura, al bene dei coniugi, alla generazione e all’educazione della prole. A differenza delle unioni di fatto, nel matrimonio si assumono pubblicamente e formalmente impegni e responsabilità di rilevanza per la società, esigibili nell’ambito giuridico.
Le unioni di fatto e il patto coniugale
(12) La valorizzazione delle unioni di fatto presenta anche una dimensione soggettiva. Siamo di fronte a persone concrete, con una visione propria della vita, con la loro intenzionalità, in una parola, con la loro “storia”. Dobbiamo considerare la realtà esistenziale della libertà individuale di scelta e della dignità delle persone, che possono sbagliare. Però nell’unione di fatto, la pretesa di riconoscimento pubblico non riguarda solo l’ambito individuale delle libertà. È opportuno pertanto affrontare questo problema dal punto di vista dell’etica sociale: l’individuo umano è una persona e pertanto un essere sociale; l’essere umano non è meno sociale che razionale.
Le persone si possono incontrare nel dialogo e riferirsi a valori condivisi e ad esigenze comuni per ciò che riguarda il bene comune. In questo campo, il riferimento universale, il criterio non può essere altro che quello della verità sul bene umano, una verità oggettiva, trascendente e uguale per tutti. Raggiungere questa verità e rimanervici è condizione di libertà e di maturità personale, vero scopo di una convivenza sociale ordinata e feconda. L’attenzione esclusiva al soggetto, all’individuo, alle sue intenzioni e alle sue scelte, senza il minimo riferimento a una loro dimensione sociale e oggettiva, orientata al bene comune, è il risultato di un individualismo arbitrario e inaccettabile, cieco ai valori oggettivi, contrario alla dignità della persona e nocivo per l’ordine sociale. “Occorre dunque promuovere una riflessione che aiuti non solo i credenti, ma tutti gli uomini di buona volontà, a riscoprire il valore del matrimonio e della famiglia. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: La famiglia è la cellula originaria della vita sociale.
È la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società. Alla riscoperta della famiglia può arrivare la stessa ragione, ascoltando la legge morale inscritta nel cuore umano. Comunità fondata e vivificata dall’amore, la famiglia trae la sua forza dall’alleanza definitiva di amore con cui un uomo e una donna si donano reciprocamente, diventando sempre collaboratori di Dio nel dono della vita”.
Il Concilio Vaticano II segnala che il cosiddetto amore libero (“amore sic dicto libero”) costituisce un fattore disgregante e distruttore del matrimonio, mancando dell’elemento costitutivo dell’amore coniugale, che si fonda sul consenso personale e irrevocabile mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono reciprocamente, dando origine in questo modo a un vincolo giuridico e a un’unità suggellata da una dimensione pubblica di giustizia. Ciò che il Concilio qualifica come amore “libero”, contrapponendolo al vero amore coniugale, era allora – ed è ora – il germe che genera le unioni di fatto. In seguito, con la rapidità con cui si producono oggi i cambiamenti socio-culturali, ha fatto ugualmente sorgere il progetto attuale di conferire uno status pubblico a queste unioni di fatto.
(13) Come qualsiasi altro problema umano, anche quello delle unioni di fatto deve essere affrontato da un punto di vista razionale, più precisamente dal punto di vista della “recta ratio”. Con questa espressione dell’etica classica si vuole indicare che la lettura della realtà e il giudizio della ragione devono essere oggettivi, liberi da ogni condizionamento quali l’emotività disordinata, la debolezza di fronte a situazioni penose che inclinano a una compassione superficiale, o eventuali pregiudizi ideologici, pressioni sociali o culturali, influenza di gruppi di pressione o partici politici. Certamente il cristiano ha una visione del matrimonio e della famiglia il cui fondamento antropologico e teologico affonda le sue radici, in maniera armonica, nella verità che procede dalla Sacra Scrittura, dalla Sacra Tradizione e dal Magistero della Chiesa. Ma la luce della fede insegna che la realtà del sacramento matrimoniale non è posteriore o estrinseca, come una semplice aggiunta “sacramentale” esterna all’amore dei coniugi, bensì che al contrario è la realtà naturale dell’amore coniugale assunta da Cristo come segno e mezzo di salvezza nell’ordine della Nuova Alleanza. Il problema delle unioni di fatto, di conseguenza, può e deve essere affrontato a partire dalla “recta ratio”. Non è tanto una questione di fede cristiana quanto di razionalità. La tendenza a contrapporre su questo punto un “pensiero cattolico” confessionale a un “pensiero laico” è un errore.
III – Le unioni di fatto nell’insieme della società
Dimensione sociale e politica del problema dell’equiparazione
(14) Taluni influssi culturali radicali (come l’ideologia del “gender” di cui abbiamo trattato precedentemente), hanno come conseguenza il deterioramento dell’istituzione familiare. “Preoccupante è l’attacco diretto all’istituto familiare che si sta sviluppando sia a livello culturale che nell’ambito politico, legislativo e amministrativo … E’ chiara la tendenza a equiparare alla famiglia altre e ben diverse forme di convivenza, prescindendo da fondamentali considerazioni di ordine etico e antropologico”.È prioritario, pertanto, definire l’identità propria della famiglia. Questa identità comporta la stabilità del rapporto coniugale tra uomo e donna, considerata come un valore e un’esigenza, e che trova espressione e conferma nella prospettiva di procreare e di educare la prole, a beneficio dell’intero tessuto sociale. La stabilità coniugale e familiare non si fonda unicamente sulla buona volontà dei singoli, bensì riveste un carattere istituzionale in ragione del riconoscimento pubblico, da parte dello Stato, della scelta di vita coniugale. Il riconoscimento, la difesa e la promozione di detta stabilità risponde all’interesse generale, e in particolare a quello dei più deboli, cioè, dei figli.
(15) Un altro rischio in cui si può incorrere nell’esame delle implicazioni sociali del problema in questione, è quello della banalizzazione. Alcuni sostengono che il riconoscimento e l’equiparazione delle unioni di fatto non dovrebbero preoccupare eccessivamente visto che il loro numero è relativamente ristretto. Piuttosto si dovrebbe concludere, in questo caso, il contrario, visto che una considerazione quantitativa del problema dovrebbe condurre a mettere in dubbio l’interesse a porre il problema delle unioni di fatto come un problema di grande portata, tanto più che si presta un’attenzione appena sufficiente al grave problema (del presente e del futuro) della protezione del matrimonio e della famiglia attraverso politiche familiari appropriate che abbiano un’incidenza reale sulla vita sociale. L’esaltazione indifferenziata della libertà di scelta degli individui, senza alcun riferimento a un ordine di valori di importanza sociale, obbedisce a una concezione completamente individualista e privatizzata del matrimonio e della famiglia, cieca alla loro dimensione sociale oggettiva. Non bisogna dimenticare che la procreazione è il principio “genetico” della società, e che l’educazione dei figli è luogo primordiale di trasmissione e di coltura del tessuto sociale, il nucleo essenziale della sua configurazione strutturale.
Il riconoscimento e l’equiparazione delle unioni di fatto discriminano il matrimonio
(16) Accordando un riconoscimento pubblico alle unioni di fatto, si crea un quadro giuridico asimmetrico: mentre la società assume obblighi rispetto ai conviventi delle unioni di fatto, questi non assumono verso la stessa gli obblighi propri del matrimonio. L’equiparazione aggrava questa situazione poiché privilegia le unioni di fatto rispetto al matrimonio, esonerandole dai doveri essenziali verso la società. Si accetta così una dissociazione paradossale che si traduce in pregiudizio per l’istituzione familiare. Per quanto riguarda le recenti proposte legislative di equiparare le unioni di fatto, incluso quelle omosessuali, alla famiglia (occorre tener presente che il loro riconoscimento giuridico è il primo passo verso la loro equiparazione), è opportuno ricordare ai parlamentari che essi hanno una seria responsabilità di opporvisi, poiché “i legislatori, e in modo particolare i parlamentari cattolici, non dovrebbero favorire con il loro voto questo tipo di legislazione poiché contraria al bene comune e alla verità dell’uomo e quindi veramente iniqua”. Tali iniziative legali presentano tutte le caratteristiche di non conformità alla legge naturale che le rendono incompatibili con la dignità di legge. Come dice Sant’Agostino “Non videtur esse lex, quae iusta non fuerit”. Occorre riconoscere un fondamento ultimo all’ordinamento giuridico. Non si tratta, pertanto, di pretendere di imporre un determinato “modello” di comportamento all’insieme della società, ma che sia riconosciuto, nell’ordinamento legale, il contributo imprescindibile apportato al bene comune della famiglia fondata sul matrimonio. Laddove la famiglia è in crisi, la società vacilla.
(17) La famiglia ha diritto ad essere protetta e sostenuta dalla società, come riconoscono numerose Costituzioni vigenti in tutto il mondo. È un riconoscimento, in giustizia, della funzione essenziale che la famiglia fondata sul matrimonio svolge per la società. A questo diritto originario della famiglia corrisponde , da parte della società, un dovere non solo morale, ma anche civile. Il diritto della famiglia fondata sul matrimonio ad essere protetta e sostenuta dalla società e dallo Stato deve essere iscritto nella legge. Si tratta di un punto che riguarda il bene comune. Sulla base di un’argomentazione limpida, San Tommaso d’Aquino rifiuta l’idea che la legge morale e la legge civile possano trovarsi in opposizione: esse sono distinte, ma non opposte; si distinguono, ma non si dissociano; tra di loro non c’è univocità, ma neanche contraddizione. Come afferma Giovanni Paolo II, “è importante che quanti sono chiamati a condurre i destini delle nazioni riconoscano ed affermino l’istituzione matrimoniale; in effetti, il matrimonio possiede uno statuto giuridico specifico che riconosce diritti e doveri da parte dei coniugi, l’uno verso l’altro e nei confronti dei figli; il ruolo delle famiglie nella società, della quale assicurano la continuità, è primordiale. La famiglia favorisce la socializzazione dei giovani e contribuisce ad arginare i fenomeni di violenza, mediante la trasmissione dei valori, così come attraverso l’esperienza della fraternità e della solidarietà che permette di vivere ogni giorno. Nella ricerca di soluzioni legittime per la società moderna, essa non può essere messa sullo stesso piano di semplici associazioni o unioni, e queste ultime non possono beneficiare di diritti particolari, legati esclusivamente alla tutela dell’impegno coniugale e della famiglia, fondata sul matrimonio, come comunità di vita e di amore stabile, frutto del dono totale e fedele dei coniugi, aperta alla vita”.
(18) I responsabili politici devono prendere coscienza della gravità del problema. In Occidente, l’attuale azione politica tende, con una certa frequenza, a privilegiare in generale gli aspetti pragmatici e la cosiddetta “politica degli equilibri” su punti concreti evitando di entrare nella discussione dei principi che rischierebbe di pregiudicare difficili e precari compromessi tra partiti, alleanze o coalizioni. Detti equilibri però non dovrebbero essere fondati piuttosto sulla chiarezza dei principi, il rispetto dei valori essenziali, la chiarezza dei postulati fondamentali?
“Se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. La funzione legislativa corrisponde alla responsabilità politica; spetta dunque ai responsabili politici di vegliare (non solo al livello dei principi bensì anche delle applicazioni) al fine di evitare un deterioramento, di gravi conseguenze presenti e future, del rapporto legge morale-legge civile e difendere il valore educativo-culturale dell’ordinamento giuridico. La maniera più efficace di difendere l’interesse pubblico non consiste in concessioni demogogiche ai gruppi di pressione che cercano di promuovere le unioni di fatto, bensì nella promozione energica e sistematica di politiche familiari organiche che intendano la famiglia fondata sul matrimonio come il centro e il motore della politica sociale, e che coprano l’ampio ventaglio dei diritti della famiglia. A questa questione la Santa Sede ha dedicato spazio nella Carta dei Diritti della Famiglia, superando una concezione meramente assistenzialista dello Stato.
Fondamenti antropologici della differenza tra matrimonio e “unioni di fatto”
(19) Il matrimonio si fonda dunque su alcuni presupposti antropologici ben definiti, che lo distinguono da altri tipi di unione e che – al di là del campo dell’azione concreta, del “fattuale” – lo ancorano nell’essere personale della donna e dell’uomo.
Tra questi presupposti troviamo: l’uguaglianza della donna e dell’uomo, in quanto “ambedue, ugualmente, sono persone” (benché in modo diverso); il carattere complementare di entrambi i sessi dal quale nasce la naturale inclinazione tra di loro e li porta a generare i figli; la possibilità dell’amore per l’altro proprio perché sessualmente diverso e complementare, di modo che “questo amore è espresso e reso perfetto in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio”; la possibilità – che ha la libertà – di stabilire una relazione stabile e definitiva, cioè, dovuta in giustizia; e infine, la dimensione sociale della condizione coniugale e familiare che costituisce il primo luogo di educazione e di apertura alla società attraverso le relazioni parentali (che contribuiscono a configurare l’identità della persona umana).
(20) Se si accetta la possibilità di un amore specifico tra l’uomo e la donna, è evidente che questo amore inclini (per sua stessa natura) a una certa intimità ed esclusività, a generare la prole e a formulare un progetto comune di vita. Quando si vuole questo, e lo si vuole in manieria tale che si dà all’altro la facoltà di esigerlo, allora si può parlare di vera donazione e accettazione reciproca tra la donna e l’uomo, che crea la comunione coniugale. Nella comunione coniugale c’è una donazione e un’accettazione reciproche della persona umana. “Pertanto l’amor coniugalis non è solo né soprattutto sentimento; è invece essenzialmente un impegno verso l’altra persona, impegno che si assume con un preciso atto di volontà. Proprio questo qualifica tale amor rendendolo coniugalis. Una volta dato ed accettato l’impegno per mezzo del consenso, l’amore diviene coniugale e mai perde questo carattere”. Questo, nella tradizione storica cristiana dell’occidente, viene chiamato matrimonio.
(21) Si tratta pertanto di un progetto comune stabile che nasce dalla donazione libera e totale dell’amore coniugale fecondo, come una cosa dovuta in giustizia. La dimensione di giustizia, trattandosi di un’istituzione sociale originaria (e che dà origine alla società), è inerente alla coniugalità stessa: “liberi essi sono di celebrare il matrimonio, dopo essersi vicendevolmente scelti in modo altrettanto libero, ma nel momento in cui pongono questo atto essi instaurano uno stato personale in cui l’amore diviene qualcosa di dovuto, con valenza di carattere anche giuridico”. Possono esistere altri modi di vivere la sessualità – anche contro le tendenze naturali – altre forme di convivenza in comune, altre relazioni di amicizia – basate o meno sulla differenziazione sessuale – altri mezzi per mettere al mondo dei figli. Ma la famiglia fondata sul matrimonio ha come aspetto distintivo quello di essere la sola istituzione che comprenda tutti gli elementi citati, simultaneamente e dall’origine.
(22) E’ necessario, dunque, sottolineare la gravità e il carattere insostituibile di alcuni principi antropologici relativi al rapporto uomo-donna, fondamentali per la convivenza umana e ancor più per la salvaguardia della dignità di ogni persona. Il nucleo centrale e l’elemento essenziale di questi principi è l’amore coniugale tra due persone di pari dignità, ma distinte e complementari nella loro sessualità. È la natura del matrimonio come realtà naturale e umana ad essere in gioco, ed è il bene dell’intera società ad essere in causa. “Come tutti sanno, oggi non si mettono in discussione soltanto le proprietà e le finalità del matrimonio, ma il valore e l’utilità stessa dell’istituto. Pur escludendo indebite generalizzazioni, non è possibile ignorare, al riguardo, il fenomeno crescente delle semplici unioni di fatto (cfr. Familiaris consortio, n. 18) e le insistenti campagne d’opinione volte ad ottenere dignità coniugale ad unioni anche fra persone appartenenti allo stesso sesso”.
Si tratta di un principio basilare: per essere amore coniugale vero e libero, l’amore deve essere trasformato in un amore dovuto in giustizia, mediante l’atto liberamente scelto del consenso matrimoniale. “Alla luce di questi principi può essere stabilita e compresa l’essenziale differenza esistente fra una mera unione di fatto – che pur si pretenda originata da amore – e il matrimonio, in cui l’amore si traduce in impegno non soltanto morale, ma rigorosamente giuridico. Il vincolo, che reciprocamente s’assume, sviluppa di rimando un’efficacia corroborante nei confronti dell’amore da cui nasce, favorendone il perdurare a vantaggio del coniuge, della prole e della stessa società”.
In effetti, il matrimonio – che fonda la famiglia – non è un “modo di vivere la sessualità in coppia”: se fosse solo questo, si tratterebbe di una modalità in più tra le varie possibili. Non è neanche la semplice espressione di un amore sentimentale tra due persone: questa caratteristica è attribuita all’amore in generale nel quadro di un’amicizia. Il matrimonio è più di questo: è unione tra una donna e un uomo, in quanto tali, nella totalità del loro essere maschile e femminile. Se questa unione può essere stabilita soltanto mediante un atto di libera volontà dei contraenti, il suo contenuto specifico è determinato dalla struttura dell’essere umano, donna e uomo, e cioè donazione reciproca e trasmissione della vita. Questo dono di sé in tutta la dimensione complementare della donna e dell’uomo, con la volontà di doversi l’uno all’altro in giustizia, si chiama coniugalità e i contraenti si costituiscono quindi in coniugi:“questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarietà che esiste tra l’uomo e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l’intero progetto di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò la comunione è il frutto e il segno di una esigenza profondamente umana”.
Gravità maggiore dell’equiparazione del matrimonio alle relazioni omosessuali
(23) La verità sull’amore coniugale permette di meglio comprendere le gravi conseguenze sociali che l’istituzionalizzazione dei rapporti omosessuali presenterebbe: “si rivela anche quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà coniugale all’unione fra persone dello stesso sesso. Vi si oppone, innanzitutto, l’oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell’essere umano. È di ostacolo, inoltre, l’assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina”. Il matrimonio non può essere ridotto a una condizione simile a quella di un rapporto omosessuale; ciò è contrario al senso comune.
Nel caso delle relazioni omosessuali che rivendicano di essere considerate unioni di fatto, le conseguenze morali e giuridiche presenterebbero una rilevanza particolare. “Le ‘unioni di fatto’ tra omosessuali costituiscono d’altra parte una deplorevole distorsione di ciò che dovrebbe essere una comunione di amore e di vita tra un uomo e una donna, in una donazione reciproca aperta alla vita”. Ancor più grave è la pretesa di equiparare tali unioni al “matrimonio legale”, come reclamano alcune iniziative recenti. Per di più, le iniziative tendenti a rendere legalmente possibile l’adozione di bambini nel quadro dei rapporti omosessuali aggiungono a ciò che precede un fattore di grande pericolo. “Non può costituire una vera famiglia il legame di due uomini o di due donne, e molto meno si può attribuire a questa unione il diritto di adottare bambini senza famiglia”. Ricordare la trascendenza sociale della verità sull’amore coniugale e sottolineare, di conseguenza, che il riconoscimento o l’equiparazione del matrimonio ai rapporti omosessuali, sarebbe un grave errore, non vuol dire discriminare, in alcun modo, queste persone. È lo stesso bene comune della società ad esigere che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l’unione matrimoniale come base della famiglia, che sarebbe, invece, pregiudicata.
IV – Giustizia e bene sociale della famiglia
La famiglia, bene sociale da difendere in giustizia
(24) Il matrimonio e la famiglia rappresentano un bene sociale di prim’ordine: “La famiglia esprime sempre una nuova dimensione del bene per gli uomini, e per questo genera una nuova responsabilità. Si tratta della responsabilità per quel singolare bene comune nel quale è racchiuso il bene dell’uomo: di ogni membro della comunità familiare; un bene certamente ‘difficile’ (bonum arduum), ma affascinante”. È vero che, di fatto, non tutti i coniugi né tutte le famiglie sviluppano tutto il bene personale e sociale possibile. Spetta allora alla società intervenire mettendo a loro disposizione nel modo più accessibile i mezzi necessari per facilitare lo sviluppo dei valori a loro propri, poiché “occorre davvero fare ogni sforzo, perché la famiglia sia riconosciuta come società primordiale e, in un certo senso, ‘sovrana’! La sua ‘sovranità’ è indispensabile per il bene della società”.
Valori sociali oggettivi da promuovere
(25) Inteso in questo modo, il matrimonio e la famiglia costituiscono un bene per la società perché proteggono un bene prezioso per gli stessi coniugi. In effetti “la famiglia, società naturale, esiste anteriormente allo Stato e a qualsiasi altra comunità e possiede diritti propri, che sono inalienabili”. Da una parte, la dimensione sociale della condizione di coniuge implica un principio di sicurezza giuridica: il fatto di divenire coniuge appartiene all’essere – e non soltanto all’agire -, la dignità di questo nuovo segno di identità personale deve essere oggetto di un riconoscimento pubblico, e il bene che costituisce per la società deve essere stimato nel suo giusto valore. È evidente che il buon ordine della società è facilitato quando il matrimonio e la famiglia si presentano come ciò che realmente sono: una realtà stabile. Inoltre, l’integralità della donazione dell’uomo e della donna nella loro potenziale paternità e maternità, e l’unione che ne deriva – anch’essa esclusiva e permanente – tra genitori e figli, esprimono una fiducia incondizionata che si traduce in forza e arricchimento per tutti.
(26) Da una parte, la dignità della persona umana esige che essa nasca da genitori uniti in matrimonio; dall’unione intima, totale, mutua e permamente – dovuta – che deriva dalla condizione di sposi. Si tratta, pertanto, di un bene per i figli. Tale origine è l’unica capace di salvaguardare realmente il principio di identità dei figli, non soltanto dal punto di vista genetico o biologico, ma anche da quello biografico o storico. D’altra parte, il matrimonio costituisce l’ambito umano e umanizzante più propizio ad accogliere i figli: quello che più facilmente garantisce una sicurezza affettiva, una maggiore unità e continuità nel processo di integrazione sociale e di educazione. “L’unione tra madre e concepito e l’insostituibile funzione del padre richiedono che il figlio sia accolto in una famiglia che gli garantisca, per quanto possibile, la presenza di entrambi i genitori. Lo specifico contributo da loro offerto alla famiglia e, attraverso di essa, alla società, è degno della più alta considerazione”. Infine, la continuità ininterrotta tra coniugalità, maternità/paternità, e parentela (filiazione, fratellanza, ecc.), evita alla società i molti e gravi problemi che sorgono quando si rompe la concatenazione dei diversi elementi e ciascuno di essi viene ad agire indipendentemente dagli altri.
(27) Anche per gli altri membri della famiglia l’unione matrimoniale come realtà sociale è un bene. In effetti, in seno alla famiglia nata da un vincolo coniugale, non solo le nuove generazioni sono accolte e imparano a partecipare ai compiti comuni, ma anche le generazioni precedenti (nonni) hanno l’occasione di contribuire all’arricchimento comune: trasmettere le loro esperienze, sentire ancora una volta la validità del loro servizio, confermare la loro piena dignità di persone per il fatto di essere valorizzati e amati per se stessi, partecipando al dialogo intergenerazionale, spesso così fecondo. In effetti, “la famiglia è il luogo dove diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a crescere nella sapienza umana e ad armonizzare i diritti degli individui con le altre istanze della vita sociale”. Allo stesso tempo, le persone della terza età possono guardare all’avvenire con fiducia e sicurezza, sapendo che saranno circondate e curate da coloro che hanno curato per lunghi anni. A questo proposito, sappiamo che, quando una famiglia assolve veramente il proprio ruolo, la qualità d’attenzione agli anziani non può essere sostituita – almeno sotto certi aspetti – da quella delle istituzioni estranee al loro ambiente, per quanto eccellenti e dotate delle attrezzature più avanzate sul piano tecnico.
(28) Possiamo considerare anche altri beni per l’insieme della società derivanti dalla comunione coniugale, fondamento del matrimonio e origine della famiglia. Ad esempio, il principio di identificazione del cittadino; il principio del carattere unitario della parentela – fondamento delle relazioni originarie della vita nella società – e della sua stabilità; il principio di trasmissione dei beni e dei valori culturali; il principio di sussidiarietà: la scomparsa della famiglia costringerebbe in effetti lo Stato a sostituirsi ad essa nelle funzioni che le sono proprie per natura; il principio di economia, anche in materia procedurale: poiché quando la famiglia si rompe, lo Stato deve moltiplicare i suoi interventi per risolvere direttamente dei problemi che dovrebbero restare e trovare soluzione nella sfera del privato, con costi elevati tanto sul piano psicologico quanto su quello economico. È opportuno ricordare inoltre che“la famiglia costituisce, più ancora di un mero nucleo giuridico, sociale ed economico, una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società”. Infine, lungi dal contribuire ad accrescere la libertà individuale, lo smembramento della famiglia rende gli individui maggiormente vulnerabili e inermi di fronte al potere dello Stato, che da parte sua ha bisogno di una giurisdizione sempre più complessa che lo impoverisce.
La società e lo Stato devono difendere e promuovere la famiglia fondata sul matrimonio
(29) In breve, la promozione umana, sociale e materiale della famiglia fondata sul matrimonio, e la protezione giuridica degli elementi che la compongono nel suo carattere unitario, sono un bene non solo per i singoli componenti della famiglia, ma anche per la struttura e il buon funzionamento dei rapporti interpersonali, l’equilibrio dei poteri, la garanzia delle libertà, gli interessi educativi, l’identità dei cittadini e la ripartizione delle funzioni tra le diverse istituzioni sociali: “determinante e insostituibile è il ruolo della famiglia nel costruire la cultura della vita”. Non bisogna dimenticare che se la crisi della famiglia è stata, in talune circostanze e sotto certi aspetti, una delle cause di un intervenzionismo accresciuto dello Stato nel campo a lei proprio, non è meno vero che in ripetute altre occasioni e sotto altri aspetti le iniziative dei legislatori hanno favorito o provocato difficoltà e perfino la rottura di numerosi matrimoni e famiglie.
“L’esperienza di diverse culture attraverso la storia ha mostrato come sia necessario per la società riconoscere e difendere l’istituzione familiare (…) La società, e in particolar modo lo Stato e le Organizzazioni Internazionali, devono proteggere la famiglia con misure di carattere politico, economico, sociale e giuridico, miranti a consolidare l’unità e la stabilità della famiglia in modo che essa possa esercitare la sua specifica funzione”.
Oggi più che mai è necessario – per la famiglia e per la stessa società – accordare la giusta attenzione ai problemi ai quali il matrimonio e la famiglia devono far fronte attualmente, nel rispetto assoluto della loro libertà. A questo scopo, c’è bisogno di creare una legislazione che protegga i suoi elementi essenziali, senza limitare la loro libertà di decisione, in particolare per ciò che riguarda il lavoro femminile, quando è incompatibile con lo stato di sposa e di madre, la “cultura del successo” che impedisce a coloro che sono nella vita attiva di rendere i loro obblighi professionali compatibili con la loro vita familiare, la decisione di accogliere i bambini, che i coniugi devono prendere secondo la loro coscienza, la difesa del carattere permanente al quale le coppie sposate aspirano legittimamente, la libertà religiosa e la dignità e uguaglianza di diritti, i principi e le scelte relative all’educazione voluta per i figli, il trattamento fiscale e le altre disposizioni di natura patrimoniale (successioni, alloggio, ecc.), il trattamento dell’autonomia legittima della famiglia, e infine il rispetto e il sostegno delle sue iniziative nel campo politico, specialmente quelle che riguardano l’ambiente familiare. Di qui la necessità di stabilire una chiara distinzione, sul piano sociale, tra fenomeni di natura differente nei loro aspetti giuridici e nel loro contributo al bene comune, e di trattarli come tali. “Il valore istituzionale del matrimonio deve essere sostenuto dalle pubbliche autorità; la situazione delle coppie non sposate non deve essere messa sullo stesso piano del matrimonio debitamente contratto”.
V – Matrimonio cristiano e unione di fatto
Matrimonio cristiano e pluralismo sociale
(30) Da alcuni anni la Chiesa insiste in maniera rinnovata sulla fiducia dovuta alla persona umana, alla sua libertà, alla sua dignità e ai suoi valori, e sulla speranza nell’azione salvifica di Dio nel mondo, che aiuta a superare ogni debolezza. Allo stesso tempo, esprime la sua profonda preoccupazione di fronte ai numerosi attentati contro la persona umana e la sua dignità, facendo notare certi presupposti ideologici propri della cultura detta “postmoderna” che oscurano i valori derivanti dalle esigenze della verità sull’essere umano, e che li rendono difficili da vivere.“Non si tratta più di contestazioni parziali e occasionali, ma di una messa in discussione globale e sistematica del patrimonio morale, basata su determinate concezioni antropologiche ed etiche.
Alla loro radice sta l’influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità”.
Quando la libertà è separata dalla verità, “viene meno ogni riferimento a valori comuni e a una verità assoluta per tutti: la vita sociale si avventura nelle sabbie mobili di un relativismo totale. Allora tutto è convenzionabile, tutto è negoziabile: anche il primo dei diritti fondamentali, quello alla vita”. Questa messa in guardia può certamente essere applicata alla realtà del matrimonio e della famiglia, fonte unica e alveo pienamente umano della realizzazione di questo diritto primordiale. Questo succede quando si tollera “una corruzione dell’idea e dell’esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forma di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere”.
(31) Allo stesso modo, la comunità cristiana ha vissuto fin dal principio l’istituzione del matrimonio cristiano come segno efficace dell’unione di Cristo con la sua Chiesa. Gesù Cristo ha elevato il matrimonio al rango di avvenimento salvifico nel nuovo ordine instaurato nell’economia della Redenzione. In altri termini, il matrimonio è un sacramento della Nuova Alleanza, aspetto questo essenziale per comprendere il contenuto e la portata dell’alleanza matrimoniale tra due battezzati. Dal canto suo, il Magistero della Chiesa ha precisato che “il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell’economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore al principio”.
In una società spesso scristianizzata, e lontana dai valori della verità della persona umana, è necessario insistere oggi sul contenuto di questo “patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole” come fu istituito da Dio “fin dal principio” nell’ordine naturale della Creazione. Ciò richiede una riflessione serena, non soltanto da parte dei fedeli praticanti, ma anche di coloro che sono, in questo momento, lontani dalla pratica religiosa, di coloro che non hanno fede, o che aderiscono ad altre convinzioni, in breve da parte di ogni persona umana, donna o uomo, membro di una comunità civile e responsabile del bene comune. Occorre ricordare la natura della famiglia fondata sul matrimonio, il cui carattere non è soltanto storico e congiunturale, ma ontologico, al di là dei cambiamenti d’epoca, di luogo e di cultura, nonché la dimensione di giustizia che ne deriva.
Il processo di secolarizzazione della famiglia in Occidente
(32) All’inizio, il processo di secolarizzazione dell’istituto matrimoniale riguardava soprattutto, e quasi esclusivamente, le nozze, cioè le modalità di celebrazione del matrimonio, almeno nei paesi occidentali di tradizione cattolica. Malgrado tutto, tanto nella coscienza popolare quanto nei sistemi giuridici secolari, i principi fondamentali del matrimonio perdurarono per un certo tempo, principi quali il valore prezioso dell’indissolubilità del matrimonio, e in particolare l’indissolubilità assoluta del matrimonio sacramentale tra due battezzati, rato e consumato. L’introduzione generalizzata, nei diversi sistemi legislativi, di ciò che il Concilio Vaticano II qualifica come “epidemia del divorzio”, diede origine ad un progressivo oscuramento, nella coscienza sociale, del valore di questa grande conquista dell’umanità nel corso dei secoli. La Chiesa primitiva non aveva voluto sacralizzare o cristianizzare la concezione romana del matrimonio, ma dare a questa istituzione il significato delle sue origini creazionali, secondo la volontà espressa da Gesù Cristo. Senza alcun dubbio, la Chiesa primitiva percepiva già chiaramente che il carattere naturale del matrimonio era stato concepito dal Creatore, fin dalle origini, come il segno dell’amore di Dio per il suo popolo, e dopo la venuta della pienezza dei tempi, come il segno dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. In effetti, la prima cosa che fece, guidata dal Vangelo e dagli espliciti insegnamenti di Cristo, suo Signore, fu di ricondurre il matrimonio ai suoi principi, cosciente che “Dio stesso è l’autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini”. D’altra parte, essa era cosciente del fatto che questo istituto naturale è “di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e il destino eterno di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana …”. Abitualmente, coloro che si sposano seguendo le modalità stabilite (dalla Chiesa o dallo Stato, secondo i casi) possono e vogliono contrarre un vero matrimonio. La tendenza all’unione coniugale è connaturale alla persona umana, e da questa decisione derivano l’aspetto giuridico del patto coniugale e la nascita di un autentico vincolo coniugale.
Il matrimonio, istituzione dell’amore coniugale di fronte ad altri tipi d’unione
(33) La realtà naturale del matrimonio è contemplata dalle leggi canoniche della Chiesa. La legge canonica descrive in sostanza lo stato matrimoniale dei battezzati, tanto in fieri – al momento del patto coniugale – quanto come stato permanente in cui si iscrivono le relazioni coniugali e familiari. A questo proposito, la giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio è decisiva, e rappresenta un’autentica salvaguardia dei valori familiari. Ma i principi fondamentali dello stato matrimoniale relativi all’amore coniugale e alla sua natura sacramentale non sono sempre pienamente compresi e rispettati.
(34) Per quanto riguarda il primo punto, si dice spesso che l’amore è il fondamento del matrimonio, e che questo è una comunità di vita e d’amore, ma non si afferma sempre con chiarezza che esso è istituto coniugale, trascurando in questo modo la dimensione di giustizia propria al consenso. Il matrimonio è un’istituzione. Il non tener conto di ciò è spesso origine di una grave confusione tra il matrimonio cristiano e le unioni di fatto: quanti convivono in un’unione di fatto possono affermare che la loro relazione è fondata sull’ “amore” (ma si tratta di un amore che il Concilio Vaticano II qualifica come sic dicto libero), e che formano una comunità di vita e d’amore, ma questa comunità si distingue sostanzialmente dalla communitas vitae et amoris coniugalis che è il matrimonio.
(35) Per ciò che riguarda i principi fondamentali relativi alla natura sacramentale del matrimonio, la questione è più complessa. I pastori della Chiesa devono in effetti tener conto dell’immensa ricchezza di grazia che emana dalla natura sacramentale del matrimonio cristiano, e dell’influenza che essa esercita sui rapporti familiari fondati sul matrimonio. Dio ha voluto che il patto coniugale originario, il matrimonio della Creazione, fosse un segno permanente dell’unione di Cristo con la Chiesa, diventando così un sacramento della Nuova Alleanza. Il problema sta nel comprendere adeguatamente che questo carattere sacramentale non va ad aggiungersi o è estrinseco alla natura del matrimonio. Al contrario, il matrimonio stesso, che il Creatore ha voluto indissolubile, è elevato al rango di sacramento dall’azione redentrice di Cristo, senza che ciò comporti la minima “snaturalizzazione” della sua realtà. Il non conoscere la peculiarità di questo sacramento in rapporto agli altri, dà spesso luogo a malintesi che oscurano la nozione di matrimonio sacramentale. Questa nozione acquista un’importanza particolare nella preparazione al matrimonio: i lodevoli sforzi per preparare i nubendi alla celebrazione di questo sacramento sarebbero inutili se essi non comprendessero chiaramente la natura assolutamente indissolubile del matrimonio che si apprestano a contrarre. I battezzati non si presentano davanti alla Chiesa soltanto per celebrare una festa secondo riti speciali, ma per contrarre un matrimonio per tutta la vita, sacramento della Nuova Alleanza. Mediante questo sacramento, essi partecipano al mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa e esprimono la loro unione intima e indissolubile.
VI – Linee di orientamento cristiane
Enunciato di base del problema “al principio non fu così”
(36) La comunità cristiana si sente interpellata dal fenomeno delle unioni di fatto. Le unioni sprovviste di ogni vincolo istituzionale legale – tanto civile quanto religioso -, costituiscono un fenomeno sempre più frequente al quale la Chiesa deve accordare la sua attenzione pastorale. Il credente, non soltanto mediante la ragione, ma anche e soprattutto per mezzo dello “splendore della verità” che gli viene dalla fede, è in grado di chiamare le cose con il loro nome; il bene, bene, e il male, male. Nel contesto attuale impregnato di relativismo e portato a smussare ogni differenza – anche essenziale – tra il matrimonio e le unioni di fatto, bisogna far prova di una grande saggezza e di una libertà coraggiosa per evitare di prestarsi agli equivoci o ai compromessi, sapendo che “la crisi più pericolosa che può affliggere l’uomo” è “la confusione del bene e del male, che rende impossibile costruire e conservare l’ordine morale dei singoli e delle comunità”. In vista di una riflessione propriamente cristiana sui segni dei tempi, e di fronte all’apparente oscumento della verità profonda dell’amore umano nel cuore di molti nostri contemporanei, è opportuno tornare alle acque pure del Vangelo.
(37) “Gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: ‘È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?’. Ed egli rispose: ‘Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: ‘Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola’. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi!’. Gli obiettarono: ‘Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di mandarla via?‘ Rispose loro Gesù: ‘Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (Mt 19,3-9). Queste parole del Signore sono note, come pure la reazione dei discepoli: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10). Tale reazione si iscrive visibilmente nella mentalità dominante dell’epoca, una mentalità che aveva voltato le spalle al progetto originale del Creatore. La concessione fatta da Mosè traduce la presenza del peccato, che riveste la forma della duritia cordis. Oggi, forse, più ancora che in altri tempi, bisogna tener conto di questo ostacolo dell’intelligenza, sclerosi della volontà, fissazione delle passioni, radice nascosta di molti fattori di fragilità che contribuiscono all’attuale diffusione delle unioni di fatto.
Unioni di fatto, fattori di fragilità e grazia sacramentale
(38) Grazie alla presenza della Chiesa e del matrimonio cristiano, la società civile ha riconosciuto nel corso dei secoli il matrimonio nella sua condizione originaria, quella a cui allude Cristo nella sua risposta. La condizione originaria del matrimonio è sempre d’attualità, come lo è anche la difficoltà di riconoscerla e di viverla, come intima verità nella profondità del proprio essere, propter duritiam cordis. Il matrimonio è un’istituzione naturale le cui caratteristiche essenziali possono essere riconosciute dall’intelligenza, al di là delle culture. Questo riconoscimento della verità sul matrimonio è anche d’ordine morale. Ma non bisogna dimenticare che la natura umana, ferita dal peccato e redenta da Cristo, non arriva sempre a distinguere chiaramente le verità che Dio ha iscritto nel suo cuore. Il messaggio cristiano della Chiesa e del suo Magistero devono essere un insegnamento e una testimonianza vivente nel mondo. A questo proposito, occorre mettere l’accento sull’importanza della grazia, che dona alla vita matrimoniale la sua autentica pienezza. Nel discernimento pastorale della problematica delle unioni di fatto, bisogna tener conto anche della fragilità umana e dell’importanza di una esperienza e di una catechesi veramente ecclesiali, che orientino verso una vita di grazia, verso la preghiera e i sacramenti, in particolare quello della Riconciliazione.
(39) Bisogna distinguere diversi elementi tra i fattori di fragilità che sono all’origine delle unioni di fatto, caratterizzate dall’amore cosiddetto “libero” che omette o esclude il legame proprio e caratteristico dell’amore coniugale. Bisogna inoltre distinguere, come abbiamo visto in precedenza, tra le unioni di fatto alle quali alcuni si ritengono come obbligati a causa di situazioni difficili, e quelle che sono volute per se stesse, in “un atteggiamento di disprezzo, di contestazione o di rigetto della società, dell’istituto familiare, dell’ordinamento socio-politico, o di sola ricerca del piacere”. Bisogna infine considerare il caso di coloro che sono spinti a un’unione di fatto “dall’estrema ignoranza e povertà, talvolta da condizionamenti dovuti a situazioni di vera ingiustizia, o anche da una certa immaturità psicologica, che li rende incerti e timorosi di contrarre un vincolo stabile e definitivo”.
Di conseguenza, il discernimento etico, l’azione pastorale e l’impegno cristiano nella realtà politica devono tener conto della molteplicità delle situazioni che ricopre il termine generale di “unioni di fatto”, descritte prima. Qualunque siano le cause, tali unioni comportano “ardui problemi pastorali, per le gravi conseguenze che ne derivano, sia religiose e morali (perdita del senso religioso del matrimonio, visto alla luce dell’Alleanza di Dio con il suo popolo; privazione della grazia del sacramento; grave scandalo), sia anche sociali (distruzione del concetto di famiglia; indebolimento del senso di fedeltà anche verso la società; possibili traumi psicologici nei figli; affermazione dell’egoismo)”. Per questo la Chiesa è particolarmente sensibile al proliferare di questi fenomeni delle unioni non matrimoniali, data la dimensione morale e pastorale del problema.
Testimonianza del matrimonio cristiano
(40) Le iniziative lanciate in molti paesi di tradizione cristiana per ottenere una legislazione favorevole alle unioni di fatto, fanno nascere non poche preoccupazioni tra i pastori e i fedeli. Sembrerebbe che, spesso, non si sappia quale risposta dare a questo fenomeno, e che la reazione sia puramente difensiva, rischiando così di dare l’impressione che la Chiesa voglia semplicemente mantenere lo status quo, come se la famiglia fondata sul matrimonio fosse il modello culturale (un modello “tradizionale”) della Chiesa, che si vuole conservare malgrado le grandi mutazioni della nostra epoca.
Per far fronte a questa situazione, occorre approfondire gli aspetti positivi dell’amore coniugale, per poter inculturare ancora una volta la verità del Vangelo, alla maniera dei cristiani dei primi secoli della nostra era. Il soggetto privilegiato di questa nuova evangelizzazione della famiglia sono le famiglie cristiane perché esse, soggetto di evangelizzazione, sono anche le prime evangelizzatrici, apportando la “buona novella” del “bell’amore” non soltanto con le parole, ma anche e soprattutto con la loro testimonianza personale. È urgente riscoprire il valore sociale di questa meraviglia che è l’amore coniugale, poiché il fenomeno delle unioni di fatto non è indipendente dai fattori ideologici che lo oscurano e che nascono da una concezione errata della sessualità umana e del rapporto uomo-donna. Di qui l’importanza primordiale della vita di grazia in Cristo dei matrimoni cristiani: “Anche la famiglia cristiana è inserita nella Chiesa, popolo sacerdotale: mediante il sacramento del matrimonio, nel quale è radicata e da cui trae alimento, essa viene continuamente vivificata dal Signore Gesù, e da Lui chiamata e impegnata al dialogo con Dio mediante la vita sacramentale, l’offerta della propria esistenza e la preghiera. È questo il compito sacerdotale che la famiglia cristiana può e deve esercitare in intima comunione con tutta la Chiesa, attraverso le realtà quotidiana della vita coniugale e familiare: in tal modo la famiglia cristiana è chiamata a santificarsi ed a santificare la comunità ecclesiale e il mondo”.
(41) Mediante la loro presenza nei diversi ambiti della società, i matrimoni cristiani costituiscono un mezzo privilegiato per mostrare concretamente all’uomo contemporaneo (in parte distrutto nella sua soggettività, sfinito dalla ricerca vana di un amore “libero”, opposto al vero amore coniugale, mediante una serie di esperienze frammentarie) che esiste una possibilità che l’essere umano ritrovi se stesso, e per aiutarlo a comprendere la realtà di una soggettività pienamente realizzata nel matrimonio in Gesù Cristo. Questa specie di choc con la realtà è l’unico modo possibile per far emergere nel cuore la nostalgia di una patria di cui ogni persona custodisce un ricordo incancellabile. Agli uomini e alle donne delusi, che si chiedono con cinismo: “Può venire qualcosa di buono dal cuore umano?” bisognerà poter rispondere: “Venite a vedere il nostro matrimonio, la nostra famiglia”. Ciò può rappresentare un punto di partenza decisivo, la testimonianza reale con la quale la comunità cristiana, con la grazia di Dio, manifesta la misericordia di Dio verso gli uomini. In molti ambienti, si constata quanto possa essere altamente positiva la considerevole influenza dei fedeli cristiani. Con la loro scelta cosciente di fede e di vita, essi sono, tra i loro contemporanei, come il lievito nella pasta, come la luce che brilla nelle tenebre. L’attenzione pastorale nella preparazione al matrimonio e alla famiglia, e l’accompagnamento nella vita coniugale e familiare, sono dunque essenziali alla vita della Chiesa e del mondo.
Una preparazione adeguata al matrimonio
(42) Il Magistero della Chiesa ha ripetutamente insistito, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, sull’importanza e il carattere insostituibile della preparazione al matrimonio nella pastorale ordinaria. Tale preparazione non dovrebbe limitarsi a una semplice informazione su ciò che è il matrimonio per la Chiesa, ma essere un vero cammino di formazione delle persone, basato sull’educazione alla fede e alle virtù. Il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha trattato questo importante aspetto della pastorale della Chiesa nei documenti Sessualità umana: verità e significato, dell’8 dicembre 1995, e Preparazione al sacramento del matrimonio, del 13 maggio 1996, mettendo l’accento sul carattere fondamentale della preparazione al matrimonio e sul contenuto di questa preparazione.
(43) “La preparazione al matrimonio, alla vita coniugale e familiare, è di rilevante importanza per il bene della Chiesa. Di fatto il sacramento del Matrimonio ha un grande valore per l’intera comunità cristiana e, in primo luogo, per gli sposi, la cui decisione è tale che non potrebbe essere soggetta all’improvvisazione o a scelte affrettate. In altre epoche tale preparazione poteva contare sull’appoggio della società, la quale riconosceva i valori e i benefici del matrimonio. La Chiesa, senza intoppi o dubbi, tutelava la sua santità, consapevole del fatto che il sacramento del matrimonio rappresentava una garanzia ecclesiale, quale cellula vitale del Popolo di Dio. L’appoggio ecclesiale era, almeno nelle comunità realmente evangelizzate, fermo, unitario, compatto. Erano rare, in genere, le separazioni e i fallimenti dei matrimoni e il divorzio veniva considerato come una ‘piaga’ sociale (cf GS 47). Oggi, al contrario, in non pochi casi, si assiste ad un accentuato deterioramento della famiglia e ad una certa corrosione dei valori del matrimonio. In numerose nazioni, soprattutto economicamente sviluppate, l’indice di nuzialità si è ridotto. Si suole contrarre matrimonio in un’età più avanzata e aumenta il numero dei divorzi e delle separazioni, anche nei primi anni di tale vita coniugale. Tutto ciò porta inevitabilmente ad una inquietudine pastorale, mille volte ribadita: chi contrae matrimonio, è realmente preparato a questo? Il problema della preparazione al sacramento del Matrimonio, e alla vita che ne segue, emerge come una grande necessità pastorale innanzitutto per il bene degli sposi, per tutta la comunità cristiana e per la società. Perciò crescono dovunque l’interesse e le iniziative per fornire risposte adeguate e opportune alla preparazione al sacramento del Matrimonio”.
(44) Ai nostri giorni, il problema non consiste più tanto, come in altre epoche, nel fatto che i giovani arrivino al matrimonio non sufficientemente preparati. A causa in parte di una visione antropologica pessimistica, destrutturante, che annulla la soggettività, molti di loro dubitano perfino che possa esistere nel matrimonio un dono reale che crea un vincolo fedele, fecondo e indissolubile. Frutto di questa visione è, in alcuni casi, il rifiuto dell’istituzione matrimoniale, considerata come una realtà illusoria a cui potrebbero accedere solo persone con una preparazione molto speciale. Di qui l’importanza dell’educazione cristiana a una nozione giusta e realistica della libertà in rapporto al matrimonio, come capacità di scoprire il bene del dono coniugale e di orientarsi verso di esso.
La catechesi familiare
(45) In questo senso, l’azione di prevenzione mediante la catechesi familiare è importante. La testimonianza delle famiglie cristiane è insostituibile, tanto nei confronti dei figli quanto in seno alla società in cui vivono. I pastori non devono essere i soli a difendere la famiglia, ma le famiglie stesse devono esigere il rispetto dei loro diritti e della loro identità. Va sottolineato che oggi le catechesi familiari occupano un posto di primo piano nella pastorale familiare. Vi si affrontano le realtà familiari in modo organico, completo e sistematico, sottoponendole al criterio della fede, alla luce della Parola di Dio interpretata ecclesialmente nella fedeltà al Magistero della Chiesa da pastori legittimi e competenti che contribuiscono veramente, in tale processo catechetico, ad approfondire la verità salvifica sull’uomo. Bisogna sforzarsi di mostrare la razionalità e la credibilità del Vangelo in rapporto al matrimonio e alla famiglia, riorganizzando il sistema educativo della Chiesa. La spiegazione del matrimonio e della famiglia a partire da una visione antropologica corretta continua a destare sorpresa, anche tra gli stessi cristiani, che scoprono che non è soltanto una questione di fede e che vi trovano le ragioni per affermarsi nella loro fede e per agire, proponendo una testimonianza personale di vita e svolgendo una missione apostolica specificatamente laicale.
I mezzi di comunicazione
(46) Ai giorni nostri, la crisi dei valori familiari e della nozione di famiglia nell’ordinamento degli Stati e nei mezzi di trasmissione della cultura – stampa, televisione, internet, cinema, ecc. – richiedono uno sforzo particolare per assicurare la presenza dei valori familiari nei mezzi di comunicazione. Si consideri, ad esempio, la forte influenza che hanno avuto i media nella perdita di sensibilità sociale di fronte a situazioni quali l’adulterio, il divorzio o anche le unioni di fatto, o ancora la deformazione perniciosa dei “valori” (o meglio dei ”contro-valori”) che essi a volte presentano come proposte normali di vita. Bisogna anche tener conto del fatto che in alcune occasioni e malgrado il contributo meritorio dei cristiani impegnati che collaborano a questi mezzi di comunicazione, alcuni programmi e serie televisive, ad esempio, non soltanto non contribuiscono alla formazione religiosa, ma favoriscono la disinformazione e la diffusione dell’ignoranza religiosa. Anche se questi fattori non sono elementi fondamentali della conformazione di una cultura, rientrano in misura non trascurabile tra i fattori sociologici di cui tener conto in una pastorale ispirata a criteri realistici.
L’impegno sociale
(47) Per molti nostri contemporanei, la cui soggettività è stata per così dire “demolita” dalle ideologie, il matrimonio è quasi impensabile; la realtà coniugale non ha alcun significato per queste persone. Come può la pastorale della Chiesa diventare, anche per loro, un avvenimento di salvezza? A questo proposito, l’impegno politico e legislativo dei cattolici che hanno responsabilità in questi campi è decisivo. Le legislazioni conformano, in larga misura, l’ethos di un popolo. A tale proposito, è particolarmente importante chiamare a vincere la tentazione di indifferenza negli ambienti politici e legislativi, insistendo sulla necessità di rendere pubblicamente testimonianza della dignità della persona. L’equiparazione delle unioni di fatto alla famiglia implica, come abbiamo visto, un’alterazione dell’ordinamento orientato verso il bene comune della società, e comporta una svalutazione dell’istituzione matrimoniale fondata sul matrimonio. Essa costituisce dunque un male per le persone, le famiglie e la società. Il “politicamente possibile” e la sua evoluzione nel tempo non può fare astrazione dei principi fondamentali della verità sulla persona umana, che devono ispirare gli atteggiamenti, le iniziative concrete e i programmi per l’avvenire. Risulta ugualmente utile rimettere in discussione il “dogma” del vincolo indissociabile tra democrazia e relativismo etico, sul quale si fondano numerose iniziative legislative tendenti ad equiparare le unioni di fatto alla famiglia.
(48) Il problema delle unioni di fatto rappresenta una grande sfida per i cristiani, che devono essere capaci di mostrare l’aspetto razionale della fede, la razionalità profonda del Vangelo del matrimonio e della famiglia. Ogni annuncio di questo Vangelo che non sia in grado di rispondere a tale sfida alla razionalità (intesa come intima corrispondenza tra desiderium naturale dell’uomo e Vangelo annunciato dalla Chiesa) sarebbe inefficace. Per questo è necessario, oggi più che mai, mostrare la credibilità interiore della verità sull’uomo che è alla base dell’istituzione dell’amore coniugale. A differenza degli altri sacramenti, il matrimonio appartiene anche all’economia della Creazione, iscrivendosi in una dinamica naturale nel genere umano. È necessario, in secondo luogo, intraprendere uno sforzo di riflessione sulle basi fondamentali, sui principi essenziali che ispirano le attività educative nei diversi ambiti e istituzioni. Quale è la filosofia delle istituzioni educative oggi nella Chiesa, e come tradurre questi principi in un’educazione appropriata al matrimonio e alla famiglia, come strutture fondamentali e necessarie alla società?
Attenzione e avvicinamento pastorale
(49) Un atteggiamento di comprensione nei confronti della problematica esistenziale e delle scelte delle persone che vivono un’unione di fatto è legittimo, e in alcune circostanze un dovere. Alcune di queste situazioni devono perfino suscitare vera e propria compassione. Il rispetto della dignità delle persone non è messo in discussione. Tuttavia, la comprensione delle circostanze e il rispetto delle persone non equivalgono a una giustificazione. In tali circostanze, conviene piuttosto sottolineare che la verità è un bene essenziale delle persone e un fattore d’autentica libertà. L’affermazione della verità non costituisce un’offesa, ma è al contrario una forma di carità, di modo che il “non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo” sia “eminente forma di carità verso le anime”, a condizone che questa sia accompagnata “con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini”. I cristiani devono pertanto cercare di comprendere le cause individuali, sociali, culturali e ideologiche della diffusione delle unioni di fatto. Bisogna ricordare che una pastorale intelligente e discreta può, in certi casi, contribuire alla riabilitazione “istituzionale” di queste unioni. Le persone che si trovano in questa situazione devono essere prese in considerazione, caso per caso e in maniera prudente, nel quadro della pastorale ordinaria della comunità ecclesiale, mediante un’attenzione ai loro problemi e alle difficoltà che ne derivano, un dialogo paziente e un aiuto concreto, specialmente nei confronti dei figli. Anche in questo aspetto della pastorale, la prevenzione è un atteggiamento prioritario.
Conclusione
(50) Nel corso dei secoli, la saggezza delle nazioni ha riconosciuto sostanzialmente, malgrado alcune limitazioni, l’esistenza e la missione fondamentale e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio. La famiglia è un bene necessario e insostituibile per tutta la società. Essa ha un vero e proprio diritto, in giustizia, a essere riconosciuta, protetta e promossa dall’insieme della società. È tutta la società che subisce un pregiudizio quando si attenta, in un modo o nell’altro, a questo bene prezioso e necessario per l’umanità. La società non può restare indifferente di fronte al fenomeno sociale delle unioni di fatto, e al declassamento dell’amore coniugale che implica. La soppressione pura e semplice del problema mediante la falsa soluzione del riconoscimento delle unioni di fatto, collocandole pubblicamente a un livello simile e perfino equiparandole alle famiglie fondate sul matrimonio, non costituisce soltanto un pregiudizio comparativo per il matrimonio (danneggiando, ancor più, la famiglia, questa necessaria istituzione naturale che oggi avrebbe tanto bisogno, al contrario, di politiche familiari vere).
Essa denota ugualmente un profondo disconoscimento della verità antropologica dell’amore umano tra l’uomo e la donna e dell’aspetto che le è indissociabilmente legato, quello di essere un’unità stabile e aperta alla vita. Tale disconoscimento diventa ancora più grave quando si ignora la differenza essenziale e molto profonda esistente tra l’amore coniugale derivante dall’istituto matrimoniale e i rapporti omosessuali. L’ “indifferenza” delle amministrazioni pubbliche su questo punto rassomiglia molto all’apatia di fronte alla vita o alla morte della società, a una indifferenza di fronte alla sua proiezione nell’avvenire o al suo degrado. In assenza di misure opportune, questa “neutralità” rischia di sfociare in un grave deterioramento del tessuto sociale e della pedagogia delle generazioni a venire.
La valorizzazione insufficiente dell’amore coniugale e della sua apertura intrinseca alla vita, con l’instabilità che ne deriva nella vita familiare, è un fenomeno sociale che richiede un discernimento appropriato da parte di tutti coloro che si sentono riguardati dal bene della famiglia, e in particolare dei cristiani. Si tratta anzitutto di riconoscere le vere cause (ideologiche ed economiche) di un tale stato di cose, e di non cedere alle rivendicazioni demogogiche di gruppi di pressione che non tengono conto del bene comune della società. Per la Chiesa Cattolica, nella sua sequela di Gesù Cristo, la famiglia e l’amore coniugale sono un dono di comunione del Dio della Misericordia con l’umanità, un tesoro prezioso di santità e di grazia che risplende in mezzo al mondo. Per questo essa invita tutti coloro che lottano per la causa dell’uomo a unire i loro sforzi in vista della promozione della famiglia e della sua intima fonte di vita che è l’unione coniugale.