UDIENZA GENERALE
Al posto delle dieci catechesi 108-117, fra i discorsi pronunciati nel periodo, ho rilevato 5 catechesi che certamente, per esplicito riferimento del Santo Padre, fanno parte delle Catechesi sull’Amore Umano che però non sono riportate sul testo “Maschio e femmina lo creò” citato.
27 giugno 1984
- Commentando nelle scorse settimane il Cantico dei cantici, ho sottolineato come il segno sacramentale del matrimonio si costituisce sulla base del «linguaggio del corpo», che l’uomo e la donna esprimono nella verità che gli è propria. Sotto tale aspetto intendo analizzare oggi alcuni brani del Libro di Tobia.
Nel racconto dello sposalizio di Tobia con Sara si trova, oltre l’espressione «sorella» – per cui sembra essere radicata nell’amore sponsale un’indole fraterna – anche un’altra espressione analoga a quelle del suddetto Cantico. Come ricorderete, nel duetto degli sposi l’amore, che si dichiarano vicendevolmente, è «forte come la morte» (Ct 8,6). Nel Libro di Tobia troviamo la frase che, dicendo che egli amò Sara «al punto di non saper più distogliere il cuore da lei» (Tb 6,19), presenta una situazione confermante la verità delle parole sull’amore «forte come la morte». 2. Per capire meglio occorre rifarsi ad alcuni particolari che trovano spiegazione sullo sfondo dello specifico carattere del Libro di Tobia. Vi leggiamo che Sara, figlia di Raguele, in precedenza era «stata data in moglie a sette uomini» (Tb 6,14), ma tutti erano morti prima di unirsi a lei. Ciò era accaduto per opera dello spirito maligno e anche il giovane Tobia aveva ragioni per temere una morte analoga.
Così l’amore di Tobia doveva fin dal primo momento affrontare la prova della vita e della morte. Le parole sull’amore «forte come la morte», pronunciate dagli sposi del Cantico dei cantici nel trasporto del cuore, assumono qui il carattere di una prova reale. Se l’amore si dimostra forte come la morte, ciò avviene soprattutto nel senso che Tobia e, insieme con lui, Sara, vanno senza esitare verso questa prova. Ma in questa prova della vita e della morte vince la vita, perché, durante la prova della prima notte di nozze, l’amore, sorretto dalla preghiera, si rivela più forte della morte. 3. Questa prova della vita e della morte ha pure un altro significato che ci fa comprendere l’amore e il matrimonio degli sposi novelli. Infatti essi, unendosi come marito e moglie, si trovano nella situazione in cui le forze del bene e del male si combattono e si misurano reciprocamente. Il duetto degli sposi del Cantico dei cantici sembra non percepire affatto questa dimensione della realtà. Gli sposi del Cantico vivono e si esprimono in un mondo ideale o «astratto», in cui è come se non esistesse la lotta delle forze oggettive tra il bene e il male. E’ forse proprio la forza e la verità interiore dell’amore ad attenuare la lotta che si svolge nell’uomo e intorno a lui?
La pienezza di questa verità e di questa forza propria dell’amore sembra tuttavia essere diversa e sembra tendere piuttosto là dove ci conduce l’esperienza del Libro di Tobia. La verità e la forza dell’amore si manifestano nella capacità di porsi tra le forze del bene e del male, che combattono nell’uomo e intorno a lui, perché l’amore è fiducioso nella vittoria del bene ed è pronto a fare di tutto affinché il bene vinca. Di conseguenza la verità dell’amore degli sposi del Libro di Tobia non viene confermata dalle parole espresse dal linguaggio del trasporto amoroso come nel Cantico dei cantici, ma dalle scelte e dagli atti che assumono tutto il peso dell’esistenza umana nell’unione di entrambi. Il «linguaggio del corpo», qui, sembra usare le parole delle scelte e degli atti scaturiti dall’amore, che vince perché prega. 4. La preghiera di Tobia (Tb 8,5-8), che è innanzitutto preghiera di lode e di ringraziamento, poi di supplica, colloca il «linguaggio del corpo» sul terreno dei termini essenziali della teologia del corpo. E’ un linguaggio «oggettivizzato», pervaso non tanto dalla forza emotiva dell’esperienza, quanto dalla profondità e gravità della verità dell’esistenza stessa.
Gli sposi professano questa verità insieme, all’unisono davanti al Dio dell’alleanza: «Dio dei nostri padri». Si può dire che sotto questo aspetto il «linguaggio del corpo» diventa il linguaggio dei ministri del sacramento consapevoli che nel patto coniugale si esprime e si attua il mistero che ha la sua sorgente in Dio stesso. Il loro patto coniugale è infatti l’immagine – e il primordiale sacramento dell’alleanza di Dio con l’uomo, con il genere umano – di quell’alleanza che trae la sua origine dall’amore eterno.
Tobia e Sara terminano la loro preghiera con le parole seguenti: «Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia» (Tb 8,7).
Si può ammettere (in base al contesto) che essi hanno davanti agli occhi la prospettiva di perseverare nella comunione sino alla fine dei loro giorni: prospettiva che si apre dinanzi a loro con la prova della vita e della morte, già durante la prima notte nuziale. Al tempo stesso essi vedono con lo sguardo della fede la santità di questa vocazione, in cui – attraverso l’unità dei due, costruita sulla verità reciproca del «linguaggio del corpo» – debbono rispondere alla chiamata di Dio stesso, contenuta nel mistero del principio. E per questo chiedono: «Degnati di aver misericordia di me e di lei». 5. Gli sposi del Cantico dei cantici dichiarano vicendevolmente, con parole ardenti, il loro amore umano. Gli sposi novelli del Libro di Tobia chiedono a Dio di saper rispondere all’amore. L’uno e l’altro trovano il loro posto in ciò che costituisce il segno sacramentale del matrimonio. L’uno e l’altro partecipano alla formazione di questo segno.
Si può dire che attraverso l’uno e l’altro il «linguaggio del corpo», riletto sia nella dimensione soggettiva della verità dei cuori umani, sia nella dimensione «oggettiva» della verità del vivere nella comunione, diviene la lingua della liturgia.
La preghiera degli sposi novelli del Libro di Tobia sembra certamente confermarlo in un modo diverso dal Cantico dei cantici, e anche in modo che senza dubbio commuove più profondamente.