La concupiscenza non impedisce di rileggere il «linguaggio del corpo»

UDIENZA GENERALE  – 9 febbraio 1982

  1. Abbiamo detto in precedenza che nel contesto delle presenti riflessioni sulla struttura del matrimonio come segno sacramentale, dobbiamo tener conto non soltanto di ciò che Cristo dichiarò sulla sua unità e indissolubilità facendo riferimento al «principio», ma anche (e ancor più) di ciò che egli disse nel Discorso della Montagna, quando si richiamò al «cuore umano». Riportandosi al comandamento: «Non commettere adulterio», Cristo parlò dell’«adulterio nel cuore»: «Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,28).

Così, dunque, nell’affermare che il segno sacramentale del matrimonio – segno dell’alleanza coniugale dell’uomo e della donna – si forma in base al «linguaggio del corpo» una volta riletto nella verità (e di continuo riletto), ci rendiamo conto che colui il quale rilegge questo «linguaggio» e poi lo esprime, non secondo le esigenze proprie del matrimonio come patto e sacramento, è naturalmente e moralmente l’uomo della concupiscenza: maschio e femmina, intesi ambedue come l’«uomo della concupiscienza». I profeti dell’Antico Testamento hanno certamente davanti agli occhi questo uomo quando, servendosi di una analogia, stigmatizzano l’«adulterio di Israele e di Giuda». L’analisi delle parole pronunciate da Cristo nel Discorso della Montagna c’induce a comprendere più profondamente l’«adulterio» stesso. E in pari tempo ci porta a convincerci che il «cuore» umano non è tanto «accusato e condannato» da Cristo a motivo della concupiscenza («concupiscentia carnis»), quanto prima di tutto «chiamato». Qui passa una decisa divergenza fra l’antropologia (o l’ermeneutica antropologica) del Vangelo e alcuni influenti rappresentanti dell’ermeneutica contemporanea dell’uomo (i cosiddetti maestri del sospetto). 2. Passando sul terreno della nostra presente analisi, possiamo constatare che sebbene l’uomo, nonostante il segno sacramentale del matrimonio, nonostante il consenso coniugale e la sua attuazione, rimanga naturalmente l’«uomo della concupiscenza», tuttavia egli è contemporaneamente l’uomo della «chiamata». E’ «chiamato» attraverso il mistero della redenzione del corpo, mistero divino, che ad un tempo è – in Cristo e per Cristo in ogni uomo – realtà umana. Quel mistero, inoltre, comporta un determinato ethos che per essenza è «umano», e che abbiamo già in precedenza chiamato ethos della redenzione. 3. Alla luce delle parole pronunciate da Cristo nel Discorso della Montagna, alla luce di tutto il Vangelo e della nuova alleanza, la triplice concupiscenza (e in particolare la concupiscenza della carne) non distrugge la capacità di rileggere nella verità il «linguaggio del corpo» – e di rileggerlo continuamente in modo più maturo e più pieno -, per cui il segno sacramentale viene costituito sia nel suo primo momento liturgico sia, in seguito, nella dimensione di tutta la vita. A questa luce occorre constatare che, se la concupiscenza di per sé genera molteplici «errori» nel rileggere il «linguaggio del corpo» e insieme a ciò genera anche il «peccato», il male morale, contrario alla virtù della castità (sia coniugale che extra-coniugale), tuttavia nell’ambito dell’ethos della redenzione rimane sempre la possibilità di passare dall’«errore» alla «verità», come pure la possibilità di ritorno, ossia di conversione, dal peccato alla castità, quale espressione di una vita secondo lo Spirito (cfr. Gal 5,16). 4. In questo modo, nell’ottica evangelica e cristiana del problema, l’uomo «storico» (dopo il peccato originale), in base al «linguaggio del corpo» riletto nella verità, è capace – come maschio e femmina – di costituire il segno sacramentale dell’amore, della fedeltà e dell’onestà coniugale, e questo come segno duraturo: «Esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Ciò significa che l’uomo, in modo reale, è autore dei significati per mezzo dei quali, dopo aver riletto nella verità il «linguaggio del corpo», è anche capace di formare nella verità quel linguaggio nella comunione coniugale e familiare delle persone. Ne è capace anche come «uomo della concupiscenza», essendo nello stesso tempo «chiamato» dalla realtà della Redenzione di Cristo («simul lapsus et redemptus»). 5. Mediante la dimensione del segno, propria del matrimonio come sacramento, viene confermata la specifica antropologia teologica, la specifica ermeneutica dell’uomo, che in questo caso potrebbe anche chiamarsi «ermeneutica del sacramento», perché consente di comprendere l’uomo in base all’analisi del segno sacramentale. L’uomo – maschio e femmina – come ministro del sacramento, autore (co-autore) del segno sacramentale, è soggetto cosciente e capace di autodeterminazione. Soltanto su questa base egli può essere l’autore del «linguaggio del corpo», può essere anche autore (co-autore) del matrimonio come segno: segno della divina creazione e «redenzione del corpo». Il fatto che l’uomo (il maschio e la femmina) è l’uomo della concupiscenza, non pregiudica che egli sia capace di rileggere il linguaggio del corpo nella verità. E’ l’«uomo della concupiscenza», ma nello stesso tempo è capace di discernere la verità dalla falsità nel linguaggio del corpo e può essere autore dei significati veri (o falsi) di quel linguaggio. 6. E’ l’uomo della concupiscenza, ma non è completamente determinato dalla «libido» (nel senso in cui viene spesso usato questo termine). Una tale determinazione significherebbe che l’insieme dei comportamenti dell’uomo, perfino anche, per esempio, la scelta della continenza per motivi religiosi, si spiegherebbe soltanto attraverso le specifiche trasformazioni di questa «libido». In tal caso – nell’ambito del linguaggio del corpo – l’uomo sarebbe in certo senso condannato a falsificazioni essenziali: sarebbe soltanto colui che esprime una specifica determinazione da parte della «libido», ma non esprimerebbe la verità (o la falsità) dell’amore sponsale e della comunione delle persone, anche se pensasse di manifestarla. Di conseguenza, egli sarebbe dunque condannato a sospettare se stesso e gli altri, riguardo alla verità del linguaggio del corpo. A causa della concupiscenza della carne potrebbe essere soltanto «accusato», ma non potrebbe essere veramente «chiamato».

L’«ermeneutica del sacramento» ci consente di tirare la conclusione che l’uomo è sempre essenzialmente «chiamato» e non soltanto «accusato», e ciò proprio in quanto «uomo della concupiscenza».