UDIENZA GENERALE – 6 ottobre 1982
- Proseguiamo l’analisi del classico testo del capitolo 5 della lettera agli Efesini, versetti 22-23. A questo proposito occorre citare alcune frasi contenute in una delle precedenti analisi dedicate a questo tema: «L’uomo appare nel mondo visibile come la più alta espressione del dono divino, perché porta in sé l’interiore dimensione del dono. E con essa porta nel mondo la sua particolare somiglianza con Dio, con la quale egli trascende e domina anche la sua “visibilità” nel mondo, la sua corporeità, la sua mascolinità o femminilità, la sua nudità. Un riflesso di questa somiglianza è anche la consapevolezza primordiale del significato sponsale del corpo, pervasa dal mistero dell’innocenza orginaria» («L’amore umano nel piano divino», Città del Vaticano 1980, p. 90). Queste frasi riassumono in poche parole il risultato delle analisi centrate sui primi capitoli del libro della Genesi, in rapporto alle parole con cui Cristo, nel suo colloquio con i Farisei sul tema del matrimonio e della sua indissolubilità, fece riferimento al «principio». Altre frasi della medesima analisi pongono il problema del sacramento primordiale: «Così, in questa dimensione, si costituisce un primordiale sacramento, inteso quale segno che trasmette efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio dall’eternità. E questo è il mistero della Verità e dell’Amore, il mistero della vita divina, alla quale l’uomo partecipa realmente… E’ l’innocenza originaria che inizia questa partecipazione…» (p. 90). 2. Bisogna rivedere il contenuto di queste affermazioni alla luce della dottrina paolina espressa nella lettera agli Efesini, avendo presente soprattutto il passo del capitolo 5, 22-33, collocato nel contesto complessivo di tutta la lettera. Del resto, la lettera ci autorizza a far questo, perché l’Autore stesso nel capitolo 5, versetto 31, fa riferimento al «principio», e precisamente alle parole dell’istituzione del matrimonio nel libro della Genesi (2,24).In che senso possiamo intravvedere in queste parole un enunciato circa il sacramento, circa il sacramento primordiale? Le precedenti analisi del «principio» biblico ci hanno condotto gradualmente a questo, in considerazione dello stato dell’originaria gratificazione dell’uomo nell’esistenza e nella grazia, che fu lo stato di innocenza e di giustizia originarie. La lettera agli Efesini ci induce ad accostarci a tale situazione – ossia allo stato dell’uomo prima del peccato originale – dal punto di vista del mistero nascosto dall’eternità in Dio. Infatti leggiamo nelle prime frasi della lettera che «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo / …ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. / In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, / per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità…» (Ef 1,3-4). 3. La lettera agli Efesini apre davanti a noi il mondo soprannaturale dell’eterno mistero, degli eterni disegni di Dio Padre nei riguardi dell’uomo. Questi disegni precedono la «creazione del mondo», quindi anche la creazione dell’uomo. Al tempo stesso quei disegni divini cominciano a realizzarsi già in tutta la realtà della creazione. Se al mistero della creazione appartiene anche lo stato dell’innocenza originaria dell’uomo creato, come maschio e femmina, ad immagine di Dio, ciò significa che il dono primordiale, conferito all’uomo da parte di Dio, racchiudeva già in sé il frutto dell’elezione, di cui leggiamo nella lettera agli Efesini: «Ci ha scelti… per essere santi e immacolati al suo cospetto» (Ef 1,4). Ciò appunto sembrano rilevare le parole del libro della Genesi, quando il Creatore-Elohim trova nell’uomo – maschio e femmina – comparso «al suo cospetto», un bene degno di compiacimento: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (1,31). Solo dopo il peccato, dopo la rottura dell’originaria alleanza con il Creatore, l’uomo sente il bisogno di nascondersi «dal Signore Dio»: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, poiché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gn 3,10). 4. Invece, prima del peccato, l’uomo portava nella sua anima il frutto dell’eterna elezione in Cristo, Figlio eterno del Padre. Mediante la grazia di questa elezione l’uomo, maschio e femmina, era «santo e immacolato» al cospetto di Dio. Quella primordiale (o originaria) santità e purezza si esprimeva anche nel fatto che, sebbene entrambi fossero «nudi…, non provavano vergogna» (Gn 2,25), come già abbiamo cercato di mettere in evidenza nelle precedenti analisi. Confrontando la testimonianza del «principio», riportata nei primi capitoli del libro della Genesi, con la testimonianza della lettera agli Efesini, occorre dedurre che la realtà della creazione dell’uomo era già permeata dalla perenne elezione dell’uomo in Cristo: chiamata alla santità attraverso la grazia di adozione a figli («predestinandoci a essere suoi figli adottivi / per opera di Gesù Cristo, / secondo il beneplacito della sua volontà. / E questo a lode e gloria della sua grazia, / che ci ha dato nel suo Figlio diletto»: Ef 1,5-6). 5. L’uomo, maschio e femmina, divenne fin dal «principio» partecipe di questo dono soprannaturale. Tale gratificazione è stata data in considerazione di Colui, che dall’eternità era «diletto» quale Figlio, sebbene – secondo le dimensioni del tempo e della storia – essa abbia preceduto l’incarnazione di questo «Figlio diletto» e anche la «redenzione» che abbiamo in lui «mediante il suo sangue» (Ef 1,7).
La redenzione doveva diventare la fonte della gratificazione soprannaturale dell’uomo dopo il peccato e, in certo senso, malgrado il peccato. Questa gratificazione soprannaturale, che ebbe luogo prima del peccato originale, cioè la grazia della giustizia e dell’innocenza originarie – gratificazione che fu frutto dell’elezione dell’uomo in Cristo prima dei secoli – si è compiuta appunto per riguardo a lui, a quell’unico Diletto, pur anticipando cronologicamente la sua venuta nel corpo. Nelle dimensioni del mistero della creazione, la elezione alla dignità della figliolanza adottiva fu propria soltanto del «primo Adamo», cioè dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, quale maschio e femmina. 6. In quale modo si verifica in questo contesto la realtà del sacramento, del sacramento primordiale? Nell’analisi del «principio», di cui è stato citato poco fa un brano, abbiamo detto che «il sacramento, come segno visibile, si costituisce con l’uomo, in quanto “corpo”, mediante la sua “visibile” mascolinità e femminilità. Il corpo, infatti, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio, e così esserne segno» («L’amore umano nel piano divino», Città del Vaticano 1980, p. 90).
Questo segno ha inoltre una sua efficacia, come ancora dicevo: «L’innocenza originaria collegata all’esperienza del significato sponsale del corpo» fa sì che «l’uomo si sente, nel suo corpo di maschio e di femmina, soggetto di santità» (p. 91). «Si sente» e lo è fin dal «principio». Quella santità conferita originariamente all’uomo da parte del Creatore appartiene alla realtà del «sacramento della creazione». Le parole della Genesi 2, 24, «l’uomo… si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne», pronunciate sullo sfondo di questa realtà originaria in senso teologico, costituiscono il matrimonio quale parte integrante e, in certo senso, centrale del «sacramento della creazione». Esse costituiscono – o forse piuttosto confermano semplicemente – il carattere della sua origine. Secondo queste parole, il matrimonio è sacramento in quanto parte integrale e, direi, punto centrale del «sacramento della creazione». In questo senso è sacramento primordiale. 7. L’istituzione del matrimonio, secondo le parole della Genesi 2, 24, esprime non soltanto l’inizio della fondamentale comunità umana che, mediante la forza «procreatrice» che le è propria («siate fecondi e moltiplicatevi»: Gn 1,28), serve a continuare l’opera della creazione, ma essa nello stesso tempo esprime l’iniziativa salvifica del Creatore, corrispondente alla eterna elezione dell’uomo, di cui parla la lettera agli Efesini. Quella iniziativa salvifica proviene da Dio-Creatore e la sua efficacia soprannaturale s’identifica con l’atto stesso della creazione dell’uomo nello stato dell’innocenza originaria. In questo stato, già fin nell’atto della creazione dell’uomo, fruttificò la sua eterna elezione in Cristo. In tal modo occorre riconoscere che l’originario sacramento della creazione trae la sua efficacia dal «Figlio diletto» (cfr. Ef 1,6: dove si parla della «grazia che ci ha dato nel suo Figlio diletto»). Se poi si tratta del matrimonio, si può dedurre che – istituito nel contesto del sacramento della creazione nella sua globalità, ossia nello stato dell’innocenza originaria – esso doveva servire non soltanto a prolungare l’opera della creazione, ossia della procreazione, ma anche ad espandere sulle ulteriori generazioni degli uomini lo stesso sacramento della creazione, cioè i frutti soprannaturali dell’eterna elezione dell’uomo da parte del Padre nell’eterno Figlio: quei frutti, di cui l’uomo è stato gratificato da Dio nell’atto stesso della creazione.
La lettera agli Efesini sembra autorizzarci ad intendere in tal modo il libro della Genesi e la verità sul «principio» dell’uomo e del matrimonio ivi contenuta.